C’è un nuovo guaio nel percorso tormentato e controverso della Pedemontana Veneta, l’opera cantierata più importante d’Italia, dal valore di quasi 3 miliardi di euro, Iva compresa. I tecnici dell’Arpav, l’Agenzia per l’ambiente del Veneto, hanno scoperto negli scarichi del cantiere la presenza di massicce quantità di Pfas di seconda generazione, i derivati del fluoro denominati Pfba, già responsabili con le sostanze perfluoroalchiliche usate nell’industria del maxi inquinamento della falda in tre province venete di Vicenza, Verona e Padova. La scoperta risale a qualche settimana fa, ma ha già portato a una diffida del sindaco di Castelgomberto e della Provincia di Vicenza nei confronti di Sis, la società che sta costruendo la superstrada a pagamento su concessione della Regione Veneto. A rivelarlo è stato il quotidiano online VicenzaToday, ma la questione sta già diventando un caso in Regione, con l’annuncio di interrogazioni da parte dei Verdi. L’impresa replica che i Pfba non provengono dal cantiere, ma dalla zona industriale, però è costretta ad ammettere l’uso di un prodotto per la cementificazione rapida che può essere all’origine dell’inquinamento.

Il 19 luglio, il sindaco di Castelgomberto, l’avvocato Davide Dorantani, ha ordinato al Consorzio Stabile Sis “la rimozione ed avvio a recupero o allo smaltimento dei sedimenti depositati sul fondo del fossato/rio denominato Poscoletta, in tutto il tratto interessato, ovvero dal punto in cui inizia la parte cementata (posta a nord) che corre parallela alla costruenda Superstrada Pedemontana Veneta e fino all’intersezione a sud con l’altro ramo del Poscoletta (che proviene dal lato ovest della SPV), per ripristino dei luoghi e per verificare che non siano state inquinate le matrici suolo ed acqua”. Inoltre vanno rimossi “tutti i sistemi di scarico diretto delle acque meteoriche, provenienti dal piano d’opera dell’imbocco galleria, effettuato mediante tubazioni volanti”. Termine per ottemperare, 30 giorni. Anche perché ci si trova in una zona di pregio ambientale, classificata Sic.

Oltre 13mila nanogrammi per litro di sostanze perfluorobutanoiche sono stati trovati da Arpav negli scarichi del cantiere della galleria di Malo, che fu teatro di due incidenti mortali e che venne in alcuni punti sequestrata dalla magistratura per supposte irregolarità nell’utilizzo di materiali non marcati Eu e nelle modalità di realizzazione della volta. Il sindaco ha preso atto delle conclusioni dei tecnici, secondo cui il Poscoletta è inquinato nei pressi del cantiere della Pedemontana. Inoltre, “errate manovre con escavatore, intraprese dal personale Sis, per il prelievo di acqua dal fossato/rio, hanno comportato la movimentazione dei sedimenti limosi, che sono stati trascinati dalla corrente”. Infine, l’accumulo dei sedimenti “è dovuto a depositi nel tempo causati dalle movimentazioni del cantiere e agli scarichi (non autorizzati) di due pompe che scaricano acqua meteorica dal piano d’opera dell’imbocco della galleria in occasione di eventi meteorici avversi non gestibili solo con l’impianto di depurazione autorizzato dal cantiere”.

La relazione Arpav (inviata alla Provincia di Vicenza e alla Regione Veneto) ha segnalato “valori elevati di Pfas nello scarico della ditta Sis”, spiegando di averli scoperti effettuando analisi sul fiume Poscola, a valle e a monte della Miteni, l’azienda (attualmente sotto processo) ritenuta responsabile dell’inquinamento da Pfas della falda del Veneto, in un’area abitata da 350mila persone. Siccome i Pfba si trovano anche a monte della Miteni, Arpav ha approfondito le ricerche, fino ad arrivare allo scarico Sis, con un prelievo istantaneo che presentava “valori pari a circa 19.000 nanogrammi per litro”. Due giorni dopo (a fine giugno) il prelievo ufficiale ha misurato 13.900 nanogrammi/litro, “mentre a monte le acque sono risultate prive di contaminazione”. I limiti tollerati sono al massimo di 500 nanogrammi per litro.

Il 2 luglio è partita dalla Provincia una diffida per Sis, chiedendo di individuare le cause degli scarichi fuori norma e minacciando la sospensione all’autorizzazione allo scarico. Il 16 luglio Sis ha risposto, sostenendo che lo scarico si trova in una zona industrializzata e che la misurazione (con pleziometro) nella falda ha portato a fissare solo in un punto il valore di 750 nanogrammi. In una delle canne di scarico, invece, si raggiungono i 13.100 nanogrammi. La società però rivela l’uso di un accelerante di presa (nella volta della galleria) in cui “è presente una concentrazione di Pfba pari a 236.000 nanogrammi/litro”. Il peso della sostanza utilizzata è pari al 3-8 per cento del peso del cemento utilizzato. Secondo Sis, la sostanza resterebbe però conglobata nel cemento e non inquinerebbe. In un paio di altri prodotti la concentrazione di Pfas è al limite di 1.000 nanogrammi. Sis conclude che non è il cantiere a causare la presenza di Pfas. Tuttavia propone l’installazione di un sistema di filtraggio.

Il 21 luglio Arpav ha replicato che la presenza di Pfba negli scarichi e nell’impianto di drenaggio, in un punto della falda e in un materiale del cantiere impongono “di approfondire il nesso di causa tra le attività di cantiere e la contaminazione da Pfba rilevate in acque superficiali e sotterranee”. Per questo a Sis è stato assegnato il compito di rispondere a cinque verifiche (anche in altri cantieri della superstrada, con il rischio di altre spiacevoli scoperte), mentre l’Ulss Berica dovrà valutare se effettuare controlli negli acquedotti.

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