Sgombriamo il campo da ogni equivoco: non sono amico di Paolo Colapietro, il ceo di Kuiri (cucinare in esperanto), un format di ristorazione veloce, basato sul delivery e sul pick up, con anche la possibilità di mangiare sul posto in un dehor gradevole. Le chiamano dark kitchen, cucina senza ristorante, sono la nuova frontiera della ristorazione espressa, e stanno andando alla grande, grazie anche alla pandemia e al boom del cibo consegnato a casa.

Non sono amico di Colapietro quindi, ma sono innamorato della cucina di Gabriel che lavora al Kuiri aperto a Milano all’angolo tra via Vincenzo Foppa e via California. Me lo ha fatto scoprire Roberto, mio fratello. Ho da sempre un debole per i falafel, le famose polpette di legumi speziate e fritte, anche perché mi ricordano il primo viaggio in Egitto fatto a sette anni (mio padre nacque al Cairo da genitori italiani), e ognuna di queste polpette è una messaggera della mia infanzia, una messaggera di felicità.

Vi dico che cos’è la felicità per me: la felicità è godere di un lavoro fatto a regola d’arte, qualsiasi lavoro: un artista, ma anche un idraulico, un pompiere, un vigile urbano o un cuoco. Molti anni fa, avrò avuto circa 18 anni, rimasi imbambolato per svariati minuti a contemplare i gesti elegantissimi di un vigile urbano che dirigeva il traffico, mi rendevo conto di assistere a una rappresentazione teatrale della “vigileurbanità”, ogni gesto era ponderato, calibrato in una danza di guanti bianchi, e provai un senso di gratitudine per quel vigile urbano che mi comunicava armonia e bellezza, era l’estrazione di una viabilità musicale all’interno di un traffico triturante.

Allo stesso modo davanti alle polpette di ceci di Gabriel, immerse in un humus glorioso e paradisiaco, sono rimasto frastornato dalla bontà e dalla freschezza di quel piatto, ho provato felicità per farla breve, commozione, perché mi sono sentito amato, perché ho sentito che quei falafel erano stati fatti dalle mani dell’amore, l’amore in persona. Allora ho voluto conoscere il mio benefattore, e sono andato a complimentarmi, e mi sono trovato davanti a un uomo meraviglioso, israeliano di nascita, un uomo bello ed elegante come i suoi falafel, un uomo speziato di gentilezza e premura, dallo sguardo intelligente, riflessivo, attento, umano, profondamente umano.

Avrei voluto dirgli: “I tuoi falafel mi hanno fatto sognare la pace universale, la fine delle ostilità tra palestinesi e israeliani, i tuoi falafel sono la cosa in sé kantiana, finalmente conoscibile, assaporabile, sono messaggeri d’amore, rifondiamo l’umanità su queste polpette di ceci fritte, se c’è al mondo un uomo in grado di fare queste cose deliziose, significa che non tutto è perduto, c’è ancora speranza”. Gabriel mi ha detto che i suoi falafel sono il frutto di una ricerca che è durata anni, sono il tentativo riuscito di riacciuffare il sapore di una ricetta gustata nella sua infanzia, quella ricetta perduta nel tempo, ritrovata attraverso l’ostinazione della fanciullezza che non si arrende al tempo che tutto sommerge, e come uno scienziato del gusto che procede per esperimenti, alla fine Gabriel è riuscito ad avvicinarsi a quel sapore, a quella ricetta fantasma tornata a vivere per lui e per noi al Kuiri di Milano.

I suoi falafel sono segnati da questa magia di recupero, perché ogni ricetta ha sfumature proprie, tocchi diversi, come una partitura musicale che viene suonata da pianisti diversi e diventa altro, pur restando la stessa. Esistono i falafel, ed esistono i falafel di Gabriel. Quindi mettiamoci l’anima in pace, la ricerca della felicità finalmente è finita o è appena iniziata, e potete gustarla grazie a Gabriel, all’Arcangelo delle polpette di ceci.

Mi sono ripromesso di dedicargli un videoritratto, perché anche io cucino con amore i miei film, per ora potete accontentarvi di questo spuntino visivo, Gabriel si vede alla fine, siamo io e il mio amico Valentino, siamo nel dehor di Kuiri, siamo felici perché siamo stati bene, perché siamo amici, perché una polpettina di ceci può vincere l’odio, se è fatta con amore. Se non vi piacciono i falafel e la cucina mediorientale, non so che dirvi, fate atto di contrizione, pentitevi e ravvedetevi, chiedete perdono alle vostre papille gustative. Gabriel è un uomo buono, vi perdonerà.

Articolo Precedente

La Chiesa brucia? Senza dubbio. Ma non si sottovaluti la sua vitalità

next
Articolo Successivo

Ddl Zan, non ci capisco molto ma di certo so che ogni persona è unica

next