Mentre nel Mediterraneo centrale si continua a morire, lungo la rotta orientale delle migrazioni verso l’Europa la situazione non è certo migliore. Dal 2017 i respingimenti illegali al confine greco si sono moltiplicati passando da centinaia a migliaia di casi, nonostante l’indignazione espressa a livello internazionale.

Una prassi messa in atto dalle autorità greche nella più totale indifferenza delle istituzioni europee, che colpisce persone che fuggono da Paesi dove conflitti e persecuzioni sono all’ordine del giorno per raggiungere le isole greche. Basti pensare che a inizio giugno la stragrande maggioranza dei migranti intrappolati nel campo di Mavrouni a Lesbo proveniva dall’Afghanistan (il 65%), dalla Repubblica Democratica del Congo (l’11%), dalla Somalia (l’8%), dalla Siria (l’8%) e dall’Iran.

Persone che, in altre parole, avrebbero tutto il diritto di essere accolte secondo le leggi internazionali, europee e greche, ma che al contrario vengono sistematicamente respinte, come denuncia l’ultimo rapporto pubblicato da Oxfam e Greek Council for Refugees (Gcr).

Storia di K., arrestata e respinta nonostante la sua richiesta di asilo

“Sono scappata dal mio paese per non finire in carcere dopo una condanna ingiusta. Ci avrei passato la mia giovinezza tra maltrattamenti e torture” ha raccontato a Oxfam e Gcr K., una giovane rifugiata politica, fuggita dal suo paese per evitare persecuzioni e torture.

Dopo essere stata arrestata dalle forze dell’ordine in Grecia – nonostante avesse presentato richiesta di asilo – K. è stata trattenuta per quasi un giorno insieme ad altre persone in un vecchio edificio, al freddo senza né acqua né cibo. “Ho capito che ci avrebbero rispedito indietro. Lo fanno sistematicamente, è una prassi consolidata”. La storia si conclude infatti con un respingimento: messa su una barca dalle autorità greche, insieme ad altre 150 persone provenienti da Siria e Afghanistan con la sola prospettiva di finire in mano turca o morire. Una testimonianza che conferma, purtroppo, uno schema che si ripete in decine di casi, sia per gli arrivi via mare sia via terra verso la Grecia.

Nell’inferno di Lesbo, dove le prime vittime sono donne e bambini

Chi non viene respinto si ritrova nell’inferno di Lesbo, dove le condizioni a cui sono sottoposti oltre 6.300 migranti soprattutto nel campo di Mavrouni, ribattezzato Moria 2.0, restano disumane: migliaia di minori non vanno a scuola, spesso arrivano da soli e in molti casi vengono trattati come adulti perché passano mesi prima che venga accertata la loro età.

Oltre 5.500 persone a Moria 2.0 stanno facendo i conti con la crescita dei contagi da Covid-19, che si sono moltiplicati nel mese di maggio in assenza di assistenza sanitaria e servizi igienici decenti. In maggioranza si tratta di donne e bambini, che a inizio giugno rappresentavano rispettivamente il 22% e il 32% del totale dei migranti giunti a Lesbo. Oltre 1.800 bambini e ragazzi, che per i due terzi hanno meno di 12 anni e nel 7% dei casi sono arrivati in Grecia da soli.

Non è più tempo di girarsi dall’altra parte

Questa domenica si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato in tutto mondo, eppure a poca distanza da noi, nell’Europa dei diritti, si consuma la violazione di leggi fondamentali per la tutela di chi è in fuga da guerre e violenza. Per questo rilanciamo con forza un appello all’Unione europea per l’istituzione di un’autorità investigativa indipendente, capace di monitorare e intervenire su quanto sta accadendo.

In molti oggi parleranno della necessità di dare un futuro agli oltre 84 milioni di rifugiati nel mondo, ma perché la giornata non resti una vuota commemorazione è arrivato il momento di agire concretamente, ponendo fine alla violazione smaccata e impunita di diritti umani.

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