Si indaga sulla vicenda di Moussa Balde, suicida nel Cpr di Torino, e discuterla è importante anche per evitare di perdere dei pezzi.

Bisogna vedere i due tempi della tragedia che hanno cause e contesti diversi, anche se un po’ collegati. La seconda e ultima parte è quella che va dal pestaggio subìto a Ventimiglia da parte di tre “giustizieri” al trasferimento nel Cpr di Torino e al suicidio. Per fortuna non sono cose che succedono tutti i giorni ma non si tratta neanche di tragica fatalità. Tutti i passaggi potevano essere evitati, suppongo. A cominciare dalla decisione della Questura d’Imperia di espellere il ragazzo ferito disponendone il trattenimento al Cpr di Torino (e a proseguire con la convalida di tutto ciò da parte del giudice di pace di Torino!).

Si è scoperto in questi giorni che manca, nelle nostre leggi che regolano la materia, la previsione di tutelare dall’espulsione forzata le vittime di violenza. Forse proprio da questo caso nascerà una nuova consapevolezza e un “emendamento Moussa Balde” tutelerà gli aggrediti almeno fino a quando non sia intervenuto un giudice. Poi c’è da capire quanto sia praticabile la effettiva espulsione verso la Guinea di un 22enne affetto da depressione e stato confusionale e scioccato dall’aggressione. Di questi aspetti si è parlato e scritto e ora è importante che se ne occupino i ministri e la sfera politica e non solo la Procura di Torino. Anche chi crede nella necessità di Cpr ed espulsioni coatte dovrebbe convenire sulla necessità di prevenire ed evitare vicende come questa.

Ma veniamo al primo tempo della tragedia, di cui ha parlato Il Fatto Quotidiano ma pochi altri. Moussa Balde è passato dall’essere un ragazzo brillante e volenteroso (2017/2018), come ricordano le testimonianze, a precipitare nella miseria e nella depressione. Senza dimora, probabilmente alcoolizzato, chiedeva l’elemosina quando è scattata la ancora inspiegabile aggressione. In mezzo alle due fasi, ai due Moussa Balde, c’è stato uno sbandamento forte che ha comportato, non so in che ordine, l’abbandono del progetto di accoglienza, il tentativo di trovare fortuna in Francia, la perdita dell’appuntamento (che non arrivava mai) con la Commissione Prefettizia che doveva esaminare la domanda di protezione.

Qui va detto che la clamorosa lentezza (soprattutto nel 17/18) nelle procedure di esame delle richieste d’asilo non è certo una cosa buona, ma in concreto ha favorito i migranti che con i lunghi tempi d’attesa hanno avuto più possibilità di fare esperienze di integrazione, e intanto hanno goduto di vitto e alloggio nei Cas, o anche negli Sprar con la prospettiva di vedersi riconosciuto il “permesso umanitario” (cioè il permesso che poteva riconoscere l’avvenuta integrazione anche in assenza di persecuzioni in patria).

Molti ragazzi però non hanno avuto o non hanno pazienza e tentano l’avventura in Francia. Non ci sono statistiche né inchieste sistematiche su quel che accade a questi sans papiers in Francia. Evidentemente a qualcuno le cose vanno bene, in qualche modo. Ma rimane il fatto che è un salto nel buio, si perdono permesso di soggiorno, alloggio, vitto, avvocato, sistema sanitario, tutto. Moussa Balde, come tanti altri, ha fatto quindi un errore, una follia? (così gli avrei detto, “non farlo”). C’è da tener presente però un dato politico che si è ripercosso fortemente nei percorsi individuali e nella percezione delle proprie possibilità e speranze. I famosi decreti Salvini avevano abolito il permesso umanitario, e con esso tante speranze, tanti incentivi a impegnarsi in studio e lavoro. Si è sparsa la voce di un quadro più fosco, fino a quando sono stati in vigore quei decreti.

Ora il permesso umanitario è tornato nella forma della cosiddetta “protezione speciale”. L’Italia, nonostante tutto, è un paese con grandi risorse economiche sociali e umane. Se fossero meglio coordinate e promosse, invece che spesso scoraggiate, si potrebbero gestire tanti arrivi, tante integrazioni. Potrebbe forse ugualmente succedere, come nella statistica di qualunque cosa, che a qualcuno le cose vadano male e che la depressione lo porti al suicidio. Ma il caso di Moussa Balde non apparirebbe emblematico come purtroppo, almeno in parte, appare.

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