di Ilaria Muggianu Scano

Trent’anni fa esordiva sulle reti Fininvest Non è la Rai, contenitore di intrattenimento destinato a diventare un cult di cui ancora, periodicamente, sono trasmesse le repliche sulle reti Mediaset e che funse da vero e proprio ufficio di collocamento per un numero considerevole di soubrettes e starlette incredibilmente longeve. L’attacco alle ragazze, costante, divenne progressivamente sempre più feroce: dalle associazioni di genitori, all’Azione Cattolica alle femministe di ogni corrente, il coro era unanime nell’accusa di aver lanciato la tv del lolitismo.

Le ragazze erano effettivamente molto giovani, ma più che ammiccare alla telecamera cercavano di conquistare un’inquadratura cedendo, al più, al melodramma per i motivi più disparati, fosse pure l’esagerata commozione per i playback in cui mettevano l’anima diventando, di fatto, le precorritrici delle odierne Tiktoker. Gli inserzionisti persero la testa per un programma in cui potevano vetrinare qualsiasi prodotto, dalle caramelle senza zucchero ai solari “che abbronzano di più e più in fretta”, dall’abbigliamento ai formaggi.

Le ragazze erano degli spot televisivi deambulanti, tutto ciò che toccavano diventava oro. Ciascuna di loro capeggiava su dozzine di cover devotamente collezionate da centinaia di migliaia di ammiratori, che stazionavano come in pellegrinaggio fuori dagli studi televisivi. Ogni ragazza vantava la sua linea di quaderni, diari e cancelleria assortita. Chi vi ricorda? Ma, mentre negli anni 90, un rocker si era preso la briga di dire che forse il re era nudo, con l’irresistibile “Delusa”, oggi in realtà manca un Vasco Rossi che crei il contradditorio, o quanto meno muova provocatoriamente le acque del mono pensiero nella placida laguna mainstream dei sudditi della Ferragnezland.

Non esiste anima viva in Italia – fatta la dovuta eccezione per acritici e irrilevanti interventi degli haters di professione – che osi contraddire la gallina dalle uova d’oro della coppia milanese, ad esclusione della penna di Selvaggia Lucarelli che a sua volta viene giudicata pesantemente per ogni giudizio sul rapper e l’imprenditrice digitale. Tutto ciò di cui si occupa il brand-famiglia Ferragnez sembra ricevere benedizione. Vale anche il viceversa, ciò che di per sé è vittorioso non deve sfuggire ai presunti endorsement dei due coniugi-venditori.

Si pensi alla trionfale vittoria dei giovani Måneskin all’Eurovision Song Contest. Quando ormai la vittoria dei rocker italiani era pressoché un fatto acclarato, la metà della mela di Ferragni sortisce con un: “Tranki raga, appena finisce di allattare scateno la Chiarona”, alludendo allo stra potere della consorte nel pilotaggio delle sorti del televoto, un po’ a dire: “Anche questa vittoria dipende dai Ferragnez”. Chiara come Ambra. Ne rimarrà una sola.

Come la giovane pupilla di Boncompagni, oggi attrice richiestissima, è sopravvissuta professionalmente ad Antonella Elia, Pamela Petrarolo, Antonella Mosetti, Francesca Pettinelli, così Ferragni è leader indiscussa su influencer di micro o media entità, si parla solo di lei, solo la bionda milanese ha un qualche appeal sulle aziende. L’astro di Non è la Rai, che pareva inarrestabile si spense quando la politica si insinuò del programma più inoffensivo di sempre, a conti fatti. La fine della trasmissione venne sancita dalla discesa in politica di Silvio Berlusconi, quando Boncompagni fece dire ad Ambra, tramite auricolare: “Il diavolo vota Occhetto, il Padreterno vota Berlusconi”.

La longa mano politica si sta insinuando, più che sibillinamente e con ogni evidenza, anche nella quotidianità patinata dei Ferragnez, dalla cooptazione, più o meno, simbolica di Giuseppe Conte che chiede aiuto alla coppia per la sensibilizzazione all’uso delle mascherine fino al ddL Zan. Avremo un post influencerismo antropologico di cui parlare, a breve?

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