La querelle scatenatasi in questo blog sulla mise dell’eroe sul fronte delle vaccinazioni – il generale Francesco Paolo Figliuolo, pervicacemente intestardito nel presentarsi con la tuta mimetica in ambiente urbano – è indicativa della tendenza all’insignificante del nostro dibattito pubblico; non meno della totale mancanza di senso del ridicolo dei supporter destrorsi hard, che ormai hanno sostituito – in quanto a tifo da stadio – i talebani del Grillismo (ormai annichiliti dalla scoperta di essere stati menati per il naso da Beppe Grillo in veste di pifferaio magico).

Un vero e proprio specchio di tempi incanagliti, che riflette la presenza massiccia dei sostenitori da tastiera di questa Destra: ululante, in campagna elettorale permanente e sempre pronta a esibire una certa brutalità pruriginosa (ve lo ricordate due estati fa capitan Salvini in spiaggia, ebbro di mojito e circondato da ragazzotte seminude che intonavano una versione caricaturale dell’inno di Mameli? Che dire delle sparate ducesche di Meloni?); mentre riporta in auge una febbre nazionalistica da ventennio fascista, che il lungo cinquantennio repubblicano aveva sostanzialmente dimenticato. Un vero mood dilagante. Per cui gli spot televisivi ci somministrano l’apologia di prodotti in quanto “cento per cento italiani” (anche il latte e il polletto con tanto di passaporto?) e riemergono persino le pulsioni militariste. Il revival in corso dai 20 milioni di baionette ai 50 di vaccini. Con riflessi condizionati pronti a scattare per zittire le critiche agli atteggiamenti da miles gloriosus di chi è stato messo al comando della campagna sanitaria; i suoi atteggiamenti caricaturali, tipici delle barzellette che da sempre fioriscono attorno agli italici uomini in divisa. Quella casta militare che ha tutti i vizi del più vasto ceto burocratico nazionale, scaldapoltrone alla base e intrallazzatore ai vertici, persino qualche pensierino golpista di qualche mela marcia, fortunatamente rara.

Come rivelava il tintinnio di spade del Sifar guidato dal pittoresco Generale Giovanni De Lorenzo, con tanto di monocolo, o gli strani maneggi dei “622 patrioti” di Gladio-Stay Behind ossessionati dall’anticomunismo alla Edgardo Sogno (una macchietta di eroe dalla voce in falsetto). Come confermava – del resto – la presenza di stellette nelle liste della Loggia P2 del maestro venerabile Licio Gelli.

Quella casta impettita e con problemi di rapporto con la lingua italiana (Francesco Paolo Figliuolo ha un conflitto in corso con gli accenti: e vai con il “régime”), ben lontana dai livelli culturali delle aristocrazie militari di tradizione europea. È immaginabile dalle nostre parti un personaggio al livello del generale Charles De Gaulle, che intitolava l’autobiografia “Memorie di speranze” ed esordiva con un incipit alla Chateaubriand: “la Francia viene dalla notte dei tempi, essa vive”? Al massimo uno dei suoi pari grado nostrani vergherebbe testi nell’anti-lingua irrisa dal linguista Tullio De Mauro (tipo: “diamo seguito a pregiata vostra in materia di combinato disposto…”).

Passando dal faceto al serio, è forse un caso che il riscatto dell’intera categoria avvenga grazie a “mosche bianche”? Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che per sconfiggere il terrorismo deve trincerarsi tra i fidi carabinieri della Pastrengo e poi viene mandato a morire nella main street palermitana, da solo. O il generale Raffaele Cadorna, che si fa paracadutare oltre le linee tedesche per assumere la guida dei Volontari della Libertà durante la lotta di liberazione antifascista al posto del futuro re di Maggio, il principe Umberto di Savoia imboscato in lieta compagnia.

Insomma tra gli svariati rigurgiti in questi tempi di restaurazione – dall’ennesimo condono salva evasori al ministro dell’ambiente che autorizza le trivellazioni dell’Eni – dobbiamo subire anche il ciarpame della retorica militaresca; che impauriva Michela Murgia, ma procura soltanto fastidio a chi si illudeva che di certe pagliacciate ci fossimo definitivamente liberati. Diventando finalmente seri.

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