Su 7,4 miliardi, nel piano investimenti 2020-2024 della Snam, 6,5 sono destinati alla realizzazione di infrastrutture per il trasporto del gas. Anzi, dei gas. Perché, statuto alla mano, nell’oggetto sociale da febbraio ci sono anche le attività legate alla transizione energetica (fra cui trasporto e gestione delle energie rinnovabili come biometano e idrogeno). Per la Snam è la “svolta green” di cui parla l’ad Marco Alverà, nominato nel 2016 dal governo Renzi e riconfermato nel 2019 dal primo esecutivo presieduto da Giuseppe Conte. Ma nel rapporto “L’ingiusta transizione – Come Snam sta svendendo il nostro futuro”, l’associazione Re:Common sostiene che la società “vuole continuare a espandere i mega-progetti per il trasporto del gas, ma anche i depositi, i terminali di gas naturale liquefatto in Italia (e in Europa, Cina e India)”, allungando la vita al gas fossile e “sfruttando al meglio le copiose risorse del Recovery Plan e del Green Deal europeo”. Solo che lo scorso gennaio, persino Werner Hoyer, il presidente della Banca europea per gli investimenti, che ha finanziato per anni progetti per l’estrazione e lo sfruttamento del gas (1,5 miliardi di euro per il TAP) ha dichiarato che il gas per l’istituzione che guida deve essere solo un ricordo del passato.

IL NODO DELL’IDROGENO – E allora, denuncia Re:Common “la narrazione sull’adattamento della rete di trasporto del gas per il trasporto dell’idrogeno è uno dei perni su cui poggia questa dualità di Snam”. Un intervento molto costoso che, sottolinea l’associazione, “dovrebbe essere coperto con risorse pubbliche e che risponderebbe più a una necessità dell’industria – di abbassare le emissioni di CO2 del gas naturale, che verrebbe miscelato all’idrogeno con il cosiddetto blending – che a una transizione verso l’economia dell’idrogeno da rinnovabili”. In questo caso, infatti, l’idrogeno sarebbe prodotto da fossili con o senza la cattura della CO2 e sarebbe destinato a essere bruciato, generando quindi ulteriori emissioni e impatti sull’ambiente.

IL DILEMMA SARDO – Nel report si passa in rassegna un’altra questione, che riguarda la Sardegna dove, secondo Re:Common, la Snam sta incidendo nel mancato percorso energetico virtuoso che avrebbe potuto imboccare la regione. Al centro dell’accusa, il contestato progetto promosso da Enura, joint venture di Snam e Società Gasdotti Italia che consiste in un metanodotto che dal nord dell’isola arriva fino alle sue estremità più meridionali, per un percorso di circa 400 chilometri, in grado di veicolare fino a 1,8 miliardi di metri cubi di gas. “Il governo non ha archiviato del tutto il progetto – commenta l’associazione – che potrebbe risorgere dalle sue ceneri come una fenice qualora il gas venisse sostituito dal biogas o dall’idrogeno”. Nel frattempo, invece di lasciar spazio a un piano di elettrificazione dell’isola “l’alternativa della società di San Donato Milanese è incentrata nel disseminare impianti per il processamento di gas naturale liquefatto sulle coste sarde, realizzando così una “rete virtuale” con impianti LNG, depositi di gas e mini-gasdotti”.

IL PROCESSO PER LA VICENDA DEL TAP – Nel report si ricorda anche il ruolo della Snam nella controversa vicenda del TAP: “Va ricordato che anche un manager di Snam Rete Gas è al momento a processo a Lecce con l’accusa di disastro ambientale”. La prossima udienza è prevista a settembre: “Il procedimento sta andando molto a rilento, a differenza di quelli che vedevano alla sbarra gli attivisti No TAP”. Nel frattempo, insieme alle Ong ambientali CEE Bankwatch Network e Friends of the Earth Europe e alla rete CounterBalance, Re:Common nel novembre 2020 ha presentato una denuncia all’Ombudsman dell’UE sulla presunta irregolarità dei prestiti concessi dalla Banca europea per gli investimenti per il Corridoio Meridionale del Gas.

LE CRITICHE DI IEEFA ALLA SNAM – Il rapporto riprende anche uno studio condotto dall’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA), che ha analizzato la strategia 2020-2024 di Snam e il suo obiettivo “net zero” (zero emissioni nette di gas serra) entro il 2040. Le conclusioni sono critiche nei confronti della società italiana “accusata di conteggiare in modo inadeguato le sue emissioni di gas serra”. Secondo IEEFA, infatti, fra il 2017 e il 2019 le emissioni derivate dall’utilizzo finale del gas trasportato da Snam, che l’azienda non include nel suo computo delle emissioni, ammonterebbero a 70 volte quelle dichiarate ufficialmente. Senza poi tenere in alcuna considerazione le fughe di metano che si verificano durante il trasporto. “In base ai dati forniti da IEEFA e riportati nel nostro rapporto, se Snam afferma che sarà a ‘zero emissioni nette entro il 2040’, lo fa partendo da una premessa quanto meno discutibile, ossia con un conteggio delle emissioni monco e una strategia inadeguata”, spiega Elena Gerebizza di Re:Common, autrice del report insieme a Filippo Taglieri, secondo cui “per una vera transizione ecologica certe imprese dovrebbero radicalmente cambiare le proprie attività principali invece di camuffare le solite fonti fossili con un tocco di green e uno di blue”.

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