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Cerco di tracciare le linee di un cluster in cui mi piacerebbe vivere. Le abitazioni dovranno essere vendute soltanto a famiglie che vi si stabiliranno, con persone dedite a lavoro da remoto. Ho cominciato pensando di essere un candidato abitante del cluster a mille metri slm: un classico ‘impiegato di concetto’ che può (e desidera) lavorare da remoto, uno smartworker che cerca una abitazione residenziale e non da vacanza.

Questa casa-tipo sarà concepita per una famigliola-tipo: padre, madre, due figli (più un anziano). Vedrei un ingresso/salotto (ca. 20mq), 1 cucina abitabile (ca. 6mq), 4 camere (ca. 42mq), 2 bagni (ca. 14mq), 1 ripostiglio/lavanderia (ca. 6mq), una cantina (ca. 6mq), un balcone (ca. 3mq): da un punto di vista fisico si tratterebbe in totale di ca. 100mq: ca. 96mq da un punto di vista commerciale. Delle quattro camere è prevista una da dedicare allo smartworking.

Calcolando un’altezza di 2,7 m, questo appartamento-tipo consterà di ca. 300 mc fisici. Il ‘costo fabbricativo’ (oggi) potrebbe essere indicato (sulla base di 400 €/mc) in ca. 120.000 €. Immagino finiture semplici ma civettuole, qual si conviene ad una area bellissima come quelle che si trovano in mezza montagna ad ogni piè sospinto…

Per ogni appartamento-tipo vedrei un piccolo giardino di ca. 500mq in cui alloggiare anche la propria automobile che, ricordiamolo, potrebbe stare in pianura alla base della eventuale funicolare. Vedrei edifici bi-trifamiliari: riscaldamento autonomo a metano con lastre fotovoltaiche sul tetto (autonomia elettrica). Immaginando si tratti solo di edifici bifamiliari, il ‘sedime’ occupato da un edificio (tre appartamenti + tre giardini) è, mediamente, di ca. 1.800mq e ospiterebbe mediamente 15 persone. Per costituire una comunità residenziale di 1.500 persone sarebbero sufficienti 100 edifici, che occuperebbero un’area di ca. 180.000mq (0,18 kmq su un territorio che avrà anche 3-6 kmq di sviluppo globale…).

I servizi essenziali sono quelli minimali che consentono la sopravvivenza – in condizioni medie costanti – di qualsiasi comunità. Saranno ‘pubblici’ e ‘privati’. Fra i pubblici: un pronto soccorso (astanteria con deposito dei principali farmaci e con una piccola autoambulanza con lettiga eventualmente trasferibile sulla funicolare), un recapito postale, un asilo, una scuola elementare (anche pluriclasse): ma anche una cappella ecumenica polireligiosa; e, importantissimo, un servizio di collegamento fra ‘cluster’ e la pianura (dove si deve trovare il comune di appartenenza del cluster stesso) che sia in grado di garantire sia il trasporto di persone che di colli anche voluminosi e pesanti (anche animali da stalla) con collegamenti efficaci in qualsiasi ora del giorno e della notte e con qualsiasi tempo atmosferico.

In questo caso una strada non garantisce quanto sopra come un impianto costruito in caverna e provvisto anche di una propria centrale ausiliaria di erogazione di energia elettrica (funicolare). Fondamentale quindi anche una piccola centrale diesel-elettrica per l’erogazione transitoria di energia nel caso di défaillance della rete normale. Ovvia la necessità di una efficiente rete informatica che renda possibile e producente il lavoro da remoto. Fra i privati: una banca, un supermarket, bar, ristoranti, ecc.; un servizio di noleggio di piccole autovetture e motoslitte operante solo nell’area-altopiano del cluster; importante poter disporre in loco (ma la vicinanza del paese di appartenenza certamente potrà fornire assistenza veloce) di un supporto informatico tecnico.

Organismi di socialità interna: un simile nuovo insediamento può offrire ciò che né la città né il paesello d’origine possono offrire: al limite perfino una vita di comunità. In fondo il ‘cluster’ tende a raggruppare persone dagli interessi paralleli che avrebbero tutto l’interesse a parlarne per fare gruppo, per fare opinione e forza. Occorre cercare di promuoverle. Fra i servizi ‘privati’ dobbiamo annoverarne due molto importanti: un centro sportivo e uno culturale. Il centro sportivo sarà articolato con una parte all’aperto e una al coperto: nella parte all’aperto (copribile a mezzo di capannoni mobili) sarebbe molto bello avere un paio di campi da tennis e una pista di 100 m per corse a piedi. Nella parte al coperto una palestra grande e adatta a ospitare calcetto, volley, basket oltre a offrire attrezzatura da ginnastica e fitness.

Il centro culturale avrà invece una funzione di aggregazione (con bar e grande schermo) affidata a tematiche di varia natura e a tavoli da gioco e discussione: sarà possibile e molto producente favorire l’arrivo di personaggi qualificati in funzione delle tematiche da porre in discussione. Una simile impostazione sarà, molto probabilmente, in grado di creare una comunità (che già sconta una sorta di comunanza di interessi lavorativi): come potrà notarsi, una simile comunità non ha nulla da condividere con quelle che sorgono nei paesi e, men che meno, con quelle che sorgono in città.

Poiché stiamo parlando di un ‘recupero’ di aree di mezza montagna, da tempo dedicate soprattutto agli sport invernali (ma anche alle passeggiate estive nei boschi o alle arrampicate sulle montagne) tutte queste zone sono sicuramente servite da strade che consentono l’accesso anche d’inverno agli sciatori e/o ai villeggianti. La cosa diventerà chiara quando si sarà fatta una mappa di queste stazioni sciistiche a rischio.

Queste strade dovranno essere tenute sempre pulite per garantirne l’accesso. Ma se pensiamo ad un cluster attivo e pieno di famiglie che vi ci abitano (quindi non di villeggianti), la soluzione ‘strada’ viene conservata, visto che già esiste: ma sarebbe più utile e affidabile una soluzione di trasporto in quota.

La comunità ‘clusteriana’ si svilupperà su una superficie di varia dimensione: ma se pensiamo a una media di occupazione della superficie di 6 kmq e ad una frequentazione aggiuntiva – rispetto alla popolazione ivi residente, legata a sport sciistici e/o di montagna – apparirebbe molto utile una società privata che si occupi di trasporti (se necessari) per esempio fino alle piste e possa anche provvedere al noleggio di motoslitte per godersi le piste non servite da impianti. L’obiettivo è semplice: realizzare per sé e la propria famiglia un’ottima qualità della vita mentre si lavora senza doversi spostare da casa.

Al momento attuale, nonostante la forte incidenza – che già si riscontra nelle città – di calo delle presenze quotidiane di lavoratori passati allo smartworking, si elevano (giustamente) osservazioni circa eventuali controindicazioni che riguarderebbero la ‘formazione’ dei giovani inseriti direttamente in questo straordinario ‘modo’ di lavorare. Le critiche o, se volete, le perplessità si appunterebbero sul fatto che un giovane che comincia a lavorare direttamente da remoto non potrebbe avvalersi di quel periodo formativo attraverso il quale tutti i neofiti del lavoro sono passati e ancora passano: formazione che riguarda non soltanto il ‘lavoro’ in sé e per sé ma anche il modo di tener conto degli usi di un ufficio, dei rapporti con quelli più anziani: dubbio che condivido anch’io ma che non mi turba.

Nel nostro Paese lo smartworking non si è ancora sviluppato: ma nel suo svilupparsi sono certo che affioreranno tecniche, consuetudini, nuovi modi di rapportarsi con i colleghi, nuovi ma certamente risolutori. Lo stesso dicasi per la didattica a distanza: professori educati nella scuola tradizionale dovranno contribuire ad elaborare modi nuovi di comunicare con una scolaresca lontana ed invisibile. Oggi questa ‘tecnica’ è ancora agli inizi e certamente procura perplessità: ma non v’è dubbio che emergerà una soluzione, che ridarà forse nuova efficienza all’insegnamento scolastico.

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