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Chissà perché, pensando ad una nuova e migliore qualità della vita, mi è venuta in mente la parola ‘cluster’. In inglese ‘cluster’ significa chiostro e chiostro evoca un concetto di ‘clausura’: condizione questa alla quale proprio non ho pensato e alla quale non intendo affatto riferirmi, perché più che a ‘clausura’ io penso a un progetto di vita largamente liberatorio. Ma, com’è e come non è, alla fine questa parola mi è proprio piaciuta e ho deciso di darle ‘vita’: intendevo contrassegnare in questo modo un’idea di vita, un progetto di vita libera e sana, con tanta socialità e, last but not least, dentro una festa di colori, di profumi, di spazi e di tanta libertà quali le città mai potranno offrire.

Un cluster realizzato così io nella mia vita (ormai lunghetta) non l’ho mai visto: da un punto di vista ambientale qualche cosa mi evoca certi scenari svizzeri; da un punto di vista della ‘socialità’ mi ricorda certe esperienze svedesi, però – perdonate – piuttosto tristarelle e condite con troppo alcol. Altrove nel mondo (e sì che un pochino l’ho girato) non ho mai visto nulla di simile. Nonostante ciò veri e propri ‘clusters’ (come io li intendo) esistono, e da tanto tempo, anche in Italia. E pure funzionano alla grande.

Noi non ci facciamo neppure caso: perché sono sul mare. Tutti quanti in mezzo al mare… Se per ‘cluster’ intendiamo una comunità che vive entro confini ben definiti, intrecciando relazioni d’affari con altre comunità, dotata dei servizi sociali essenziali, tributaria verso altre realtà per i rifornimenti (se già non se li produce) e per quei servizi straordinari che solo si trovano su realtà più ampie e organizzate, allora anche Capri è un ‘cluster’ (circa 7.000 anime), Ischia è un ‘cluster’ (70.000), l’Isola d’Elba è un ‘cluster’ (30.000), ecc. I servizi straordinari (cioè oltre quelli di cui non può disporre al suo interno) li deve andare a prendere o sul continente oppure sulle due grandi isole (Sicilia e Sardegna).

Capri, Ischia, l’Elba, ecc. sono dei ‘cluster’ obbligati, e nessuno trova niente da ridire: io non so perché, ma è certo che quando cominciai a pensare a questa ‘visione’ fu per me immediata la collocazione di questi ‘clusters’ in montagna: e più precisamente ‘mezza montagna’. La scintilla che mi diede a pensare con l’impostazione ‘mezza montagna’ fu il nome di un paese – non lo farò certamente – sito nella fascia prealpina: sito a 7-800 metri, già da tempo soffre della carenza di neve.

Delle due ‘stagioni turistiche’ di cui viveva, quella invernale è ormai finita, e già diverse seconde case non vengono più, d’inverno, frequentate: il valore degli immobili è fortemente sceso e i residenti cercano – ma finora senza concreto successo – di escogitare una strategia di resurrezione. Ma non è il solo. Alle spalle di questo paese (bellissimo, allegro) sta un falsopiano verde, stanno montagne con declivi da sci ormai abbandonati: monti delle nostre splendide Prealpi.

Dietro al paese (circa 2.500 abitanti residenti stabili che occupano circa 1,8 km quadrati nei quali ospitano sia i residenti stabili che i villeggianti estivi) il pianoro si sviluppa per circa 4 km quadrati: un cluster di circa 1.500 persone potrebbe benissimo esservi organizzato con un’edilizia simpatica e civettuola, di tipo svizzero, con unità abitative di vario disegno mono, bi o trifamiliari: e resterebbe ancora un’area importante per le attività sociali e per le attività sportive. Chiedo scusa per la grossolana approssimazione: ma credo che questa impostazione non sia poi così peregrina.

Naturalmente dobbiamo prefiggerci un ‘target’ di futuri occupanti molto definito: è un target molto semplice e tumultuosamente crescente: famiglie nelle quali una o più componenti possono lavorare in smartworking e/o che abbiano figli ancora in fase di studio scolastico che possono studiare in regime di didattica a distanza. Un ‘cluster’ del tipo che sto citando potrebbe collocarsi benissimo vicino a città con attività industriale presso le quali recarsi quando necessario; e vicino a città con regime scolastico completo in modo, quando necessario, di potervisi recare per assistere a lezioni particolari o per sostenervi esami.

Con una struttura del genere, ben collegata alla pianura, anche un ‘lavoro’ cittadino lontano 50 o più chilometri non è affatto impossibile da frequentarsi una tantum: porto la mia famiglia in un ambiente solare, con aria pulita, con una comunità che più o meno avrà i miei stessi problemi, con la quale posso anche attivare una vita ‘più sociale’ di quella che avevo in città e molto più fisicamente attiva: una vita da ‘giovani’ e molto per giovani: a me sembra che i motivi per rifletterci siano davvero molti e importanti.

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