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Sfogliavo nella solitudine dell’ospedale (sto uscendo, grazie a Dio, dal Covid-19) una pubblicazione del 2005 riguardante una panoramica sui consumi italiani dopo la fine della guerra edita dal giornale l’Unità. Questa pubblicazione uscì 60 anni dopo la fine della guerra. Penso che se, alla fine della guerra, avessimo chiesto agli italiani come vedevano il futuro dell’Italia tutto avremmo sentito tranne l’espressione di un quadro come poi nel ventennio successivo il mondo intero e non solo gli italiani abbiamo tutti potuto vedere.

La vera grande novità per quanto riguardava sia l’economia che il modo di vivere si chiamava, allora, ‘consumo’: con tutti gli stili di vita che ne conseguivano e con tutto il sistema di valori nuovo che irrompeva senza freni sulla scena. Mi riferisco a questo ricordo per richiamare l’attenzione su ciò che sta avvenendo a seguito della pandemia. Naturalmente ciò che riscontriamo oggi riguarda tutto il Pianeta: ma mi propongo di inquadrare solo il nostro Paese.

Certo: la scossa che è stata avvertita è stata potente e le conseguenze sono già vistose e anche un poco terribili: ma, ahinoi, le scosse non sono affatto finite: altre ondate di Covid-19 sono da attendersi anche e soprattutto a seguito di mutazioni anche pericolose del virus stesso. Una cosa è sicura: il timore/terrore di restare contagiati non sparirà presto: neppure davanti a reiterate e autorevoli affermazioni rassicuranti sia individuali che collettive da parte delle autorità di qualsivoglia comunità (città, paesi, aggregati minori…).

Fino a ieri la ‘città’ ha richiamato residenti fuori città che si iscrivevano stabilmente nei registri e nelle case della città stessa: questo era l’urbanesimo; è stato il fenomeno più vistoso: la calamita più efficace (ma non la sola) di attrazione per queste nuove popolazioni urbane fu costituita dalla possibilità, in città, di trovare più facilmente occasioni di lavoro e di crescita di carriera: l’urbanesimo era una scelta di vita. Ma non era il solo fenomeno che faceva sì che le città venissero frequentate da un numero crescente di persone. Regolare quotidiano si accettò anche il fenomeno del ‘pendolarismo’, ovvero il talvolta addirittura gigantesco flusso di lavoratori (dirigenti, impiegati e operai) che entravano in città al mattino e ne uscivano la sera per tornare alle loro case nei territori circostanti. Oltre ai problemi di traffico talvolta aberranti, non si poteva immaginare un’occasione migliore per produrre quantità enormi di CO2 con tutte le conseguenze del caso.

Poi, imprevista e inattesa, arriva la pandemia. Che però (in un certo senso… per fortuna) non è arrivata sola. Da tempo si preparava una rete informatica mondiale di comunicazione e di trasmissione dati sempre più ampia, sempre più completa, sempre più veloce, sempre più capillare che preparava e prepara a sua volta una trasformazione sempre più diffusa e veloce del modo di vivere e di rapportarsi con il lavoro e con i nostri simili. Lo schiaffone della pandemia fece scattare un forte allarme: e le contromisure (in tutti i Paesi, in attesa di un vaccino efficace) puntarono dritte verso il distanziamento fra le persone: più lontane fra di loro sono e meno la pandemia può espandersi.

Spinte dalla ‘paura’, sia le persone che le aziende capirono che una parte non trascurabile del loro ‘lavoro’ sia aziendale che di docenza (smartworking e Dad) poteva essere realizzata fuori azienda e fuori scuola: ma poteva essere facilmente trasmessa sia alle aziende che ai docenti via ‘telematica’, via ‘rete’, dai singoli ‘a casa’ alle imprese ‘nelle loro sedi’.

SW: ‘smart-working’: contabilità, amministrazione, fatturazione, logistica, promozione, acquisti, ecc.ecc.; non si tratta affatto di una quantità di ‘lavoro’ modesta: dietro queste definizioni ci sono legioni di impiegati di concetto, migliaia di dirigenti. Ma per ospitare stabilmente in città queste moltitudini ci vogliono uffici, abitazioni, ristoranti, bar, negozi, mezzi di trasporto pubblici (tram, bus, metropolitane…) e privati, lavanderie, ecc.. Basta la descrizione accennata sopra per fare intuire che modificazioni importanti, diciamo pure ‘radicali’, possono celarsi dietro e provocare cambiamenti profondi nel nostro modo di vivere.

Dad: ‘didattica a distanza’: molti studenti studieranno da casa sia certe materie sia parti di insegnamenti di altre: si tratta di una tecnica di insegnamento per noi ancora recente ma che ha già segnato conseguenze non trascurabili, specie nelle città universitarie. Già oggi molti studenti hanno disdetto i contratti di affitto, per i quali i valori di mercato sono già crollati…

Come sempre nei grandi cambiamenti epocali (e oggi siamo davvero e concretamente in presenza di uno di questi) ci sarà chi gioisce e chi impreca contro il destino cinico e baro: l’importante è non arrivarci ad occhi chiusi: e modestamente sto cercando di far rendere conto il più possibile degli scenari che si apriranno.

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