“Un so quante oreee n ci son dentro i corsi di Coverciano però … cioè … l’at… cioè… a me… quando a volte mi domandavano ‘possiamo venì a vedè i tuoi allenamenti… venite … cioè… non è che mando i missili sulla luna… cioè se vi divertite a vedè gli allenamenti… ma io non f… cioè l’al… eeeee… il preparare la partita, gli accorgimenti… un allenatore vive di sensazioni”. E al 730esimo giorno Massimiliano da Livorno si levò saio, sandali e cilicio dell’esilio e tornò a parlare. Più atteso di un gol di Bernardeschi, più osannato di Rino Marchesi e Gigi Maifredi, adorato in religioso silenzio come la sacra sindone, venerato come un’ “acciughina” nella bagnacauda, Massimiliano da Livorno ha voluto partecipare sommessamente, senza alcun vanto, senza modestia alcuna, all’ultima puntata di Sky Calcio Club.

Una poltroncina irta di spine quella lasciata libera da Fabio Caressa, ancora frastornato da Lo sgabello che scotta dance, finito a fare il suo Hully Draghy a capotavola su un banchino dove la regia non riesce più ad inquadrarlo con consueta puntualità. Giaciglio di fortuna per il viandante Massimiliano, oramai sempre più dentato alla Benigni in Tu mi turbi. L’errabondo pellegrino, eroso dal vento dell’inattività, screpolato in viso dopo la traversata nel deserto delle tentazioni, era atteso al tavolaccio di fortuna attorniato da fra Beppe da Bergamo, san Luca dei Marchegiani, don Paolo di Canio, Sua Eccellenza monsignor Piccinini. Ecco allora Massimiliano da Livorno riportare lentamente alla luce con parca parsimonia la parola del padre. In principio fu il verbo aspirato, l’aggettivo sofferto, l’avverbio incompleto e sminuzzato.

Poi venne il discorso della montagna: “Mi so rimesso un po’ a guadalle pe capì… se… cioè… mi immedesimavo nell’allenatore pe capì… se… la sostituzione che doveano fare e che …. un ne ndovinavo unaaa”. Dal Vangelo secondo Caressa, versetto 3-5-2. Alla domanda se l’astinenza di panchina del giuoco del calcio fa male, Massimiliano da Livorno esorta i discepoli spezzando il pane e bevendo il vino: “astinen… nooo… in crisi d’astinenza no… però a me mi mancavano a vedere… godere delle gesta dei mi giocatori… na roba mi fa impazzire… ripeto…cioè… io ho imparato tutto dai giocatori”. E ancora, il governatore Agnelli disse alla folla chi volete che salvi Massimiliano da Livorno o Maurizio da Napoli? E il profeta che distrusse il tempio e fece andare su tutte le furie i mercanti disse: “No… non èèèè… non… io cre… sia stato…cioè… siamo arrivati…cioè… n modo naturale… c’è stata diversità di vedute”.

Sua Eccellenza Piccinini evoca il tipo di gioco richiesto dal casato del reverendissimo presidente: “Ma nooo… ma non è il tip di g… eeeeee…. il tip di gioho alla juve devi vinceee”. L’angelo infine disse agli ospiti in studio: “Voi non abbiate paura! So che cercate Massimiliaono da Livorno, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, è nello studio di Caressa e non dice più “cioè”, “però”, non bofonchia mezze parole, non mozza i verbi accentandoli come nelle aree rurali della Galilea toscana, conclude frasi e fa resuscitare perfino i morti. “I giovani sono diventati strumento per dimostrà che gli allenatori so bravi. L’allenatore è bravo quando vince e quando crea valore”. Andate in pace la messa è finita. “La parola equilibrio serve nella vita come nel calcio”. Amen.

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