Nel 1994, Carine Kanimba aveva un anno. I suoi genitori furono massacrati con altri 800mila tutsi e hutu moderati. Lei e sua sorella furono adottate dagli zii: Paul e Taciana Rusesabagina (insieme a Carine nella foto). Carine si batte ora per la liberazione dell’uomo, attualmente detenuto e sotto processo in Rwanda con l’accusa di terrorismo, che l’ha cresciuta insegnandole che che l’odio non porta a nulla, che tutti gli esseri umani sono uguali e che la parola è l’arma più efficace. Dal Belgio, racconta al fattoquotidiano.it: “Mio padre si è sempre opposto alle ingiustizie. Ne è prova che lui, hutu, ha sposato una donna tutsi e ha adottato me e mia sorella, tutsi”.

Dopo il genocidio, sotto il tutsi Paul Kagame, la vita era diventata difficile: “Miravano soprattutto agli hutu influenti. Mio padre subì due tentativi d’omicidio”. Così, nel ‘96, cercarono rifugio in Belgio, dove Paul ottenne la cittadinanza belga, perdendo automaticamente quella rwandese.

Nel 2004 la svolta: il regista Terry George realizzò il film che rese famosa la storia dell’Hotel des mille collines. Paul Rusesabagina – che era direttore di quell’albergo e aveva salvato 1268 di persone dalla furia cieca dell’odio – iniziò a girare il mondo. Venne diverse volte anche in Italia. Non si limitò mai, però, alla narrazione “celebrativa” dei terribili cento giorni del ‘94. “I morti sono stati tantissimi da entrambe le parti. Non si può costruire una pace duratura se non si dice la verità” sottolinea Carine.

Suo padre denunciava anche le storture del nuovo regime. E così nel 2005, mentre George Bush lo insigniva della Medaglia della Libertà, il Rwanda lo accusava di negazionismo: “Non ha senso, mio padre parla sempre del genocidio! Volevano farlo tacere. Ma non ha funzionato – racconta Carine -. Allora hanno cominciato a dire che la sua storia era una menzogna. Ma nemmeno questo ha funzionato. E poi il fatto di aver adottato me e mia sorella, tutsi, smentiva coi fatti tutte le illazioni”.

Insieme al discredito, le minacce. “Eravamo sotto pressione: ce li ritrovavamo sempre davanti, li vedevamo passare, ci guardavano dalla finestra. Un giorno abbiamo trovato la casa a soqquadro. Preoccupato, nel 2007 papà ci mandò a studiare negli Usa. Nel 2009 ci raggiunse, ottenendo poi la green card”. Fino all’accusa di finanziare un gruppo armato. “Come prova, hanno esibito un versamento Western Union a favore delle FDLR (lo stesso gruppo accusato all’inizio di aver ucciso Attanasio, Iacovacci e Milambo, ndr). Ma il documento era falso. Ed è dimostrabile perché in quei giorni mio padre era in Irlanda per delle conferenze”.

Paul non si ferma: deposita una denuncia alla Corte Penale Internazionale chiedendo un’inchiesta sui crimini commessi da Kagame per i conflict minerals nell’est della Repubblica Democratica del Congo. “Ciò costò a mio padre altri tentativi di assassinio e un ulteriore aumento delle misure di sicurezza”.

L’attività di lobbying non basta: Rusesabagina fonda il PDR, Partito per la Democrazia in Rwanda. “Il partito di papà nel 2018 entrò in una coalizione in cui si trovava anche un piccolo partito legato a una milizia: fu il pretesto per accusare mio padre”.

Lo scorso agosto, Paul è invitato in Burundi da un reverendo: “Era una spia. Papà ha fatto scalo a Dubai e da lì è salito su un volo che doveva portarlo in Burundi. In aereo è stato drogato e bendato e si è svegliato a Kigali. Abbiamo perso i contatti dal 27 al 31 agosto. Una sparizione forzata, contraria al diritto internazionale”.

Davanti alle affermazioni del governo rwandese, Belgio, Usa e Dubai hanno ufficialmente smentito ogni appoggio. Non esiste mandato internazionale, né collaborazione dell’Interpol. Il pool internazionale di avvocati che difende Paul non può vederlo. “Gli è stato imposto un avvocato d’ufficio. Mio padre probabilmente è in vita solo grazie alle pressioni internazionali. È stato ricoverato tre volte da quando è detenuto, ma rifiutano di dirci perché. Avevamo inviato le sue medicine per l’ipertensione, ma si rifiutano di dargliele. E senza, rischia un infarto o un ictus”.

“Per la prima volta l’Unione Europea ha votato una risoluzione di condanna del Rwanda per violazione dei diritti umani e ha chiesto il rilascio immediato di mio padre”. Lo stesso hanno fatto gli Usa. “La più forte condanna di sempre per Kagame”. Carine è convinta che la pressione diplomatica non basti: “Il Rwanda dipende dagli aiuti internazionali. Serve pressione economica, magari anche sanzioni mirate e blocco dei visti. Papà è un cittadino europeo ed è sotto processo in un paese in cui i diritti suoi e di molti altri non sono rispettati, dove gli oppositori spariscono. Nell’est del Congo la presenza delle forze armate rwandesi è documentata da tempo”. E conclude: “Non è accettabile chiudere gli occhi, tutto ciò ha causato la morte di milioni di persone. Nel ‘94 la comunità internazionale ha perso tempo per decidere se chiamarlo genocidio. Ora succede lo stesso in Congo.”

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