Sono solo canzonette, ma possono raccontarci molte cose. In un mondo dove persino i governi e i sistemi di potere economico-finanziari occidentali scoprono la necessità di una transizione ecologica, la Rai non ha colto affatto l’occasione del festival di Sanremo, evento televisivo clou dell’anno, per mostrare la dovuta sensibilità nei confronti di questa svolta epocale. Anzi, tra quegli orribili palloncini in platea e la consueta scenografia-monstre firmata da Gaetano e Maria Chiara Castelli, tutta impostata su un’illuminazione allucinante, Sanremo 2021 sembra quasi l’apologia estetica dello spreco fuori tempo massimo.

Che possano piacere o meno, tra l’altro, queste quantità di luci ridondanti e per così dire arroganti (per non dire dei costumi), malcelano l’egemonia permanente di un’ideologia televisiva alla Ettore Bernabei: il padre padrone della prima Rai fanfaniana e del cosiddetto nazional-popolare, diceva che “il pubblico televisivo è fatto da venti milioni di teste di c***o”, per cui nella programmazione per i grandi ascolti si deve dare il peggio…

Ma se la scelta delle canzoni e dei cantanti ospiti è stata tutt’altro che felice o innovativa, se il dichiarato ‘bambinismo’ da sessantenni di Amadeus e Fiorello sa un po’ di stantio, sono l’immagine e la scena a dichiarare immediatamente quanto la nostra tv pubblica sia fuori tempo massimo e fuori sincrono rispetto all’editore, che sono il governo e il Parlamento, e in definitiva noi tutti che siamo costretti a pagare il canone.

Per presentare questo festival del palloncino celodurista, addirittura, la Rai ha voluto comunicare in anticipo la mostruosità della scelta di una scena dove lo ‘stargate’ centrale è da concerto rock in uno stadio, con “l’aggiunta del soffitto che diventa elemento scenografico tra luci, schermi e materiali video-luminosi”. Un durissimo lavoro di mesi, sono ancora parole testuali degli scenografi, “per riuscire a condensare al meglio tutta la potenza di luce, la cui realizzazione ha richiesto l’impiego di 7 chilometri di fasce led, 1,9 milioni di di canali, 65 centraline, 600 metri quadrati di led wall (i grandi schermi luminosi, ndr), 20 chilometri di cavi”. Sic!

L’effetto voluto è arrivato: lo spettatore è come se si trovasse dinanzi a una versione televisiva e sanremese del Great Pacific Garbage Patch, l’isola di rifiuti plastici colorati trascinata nel vortice delle correnti oceaniche.

E dire che ormai molte aziende pubbliche italiane, soprattutto le più importanti a vocazione internazionale, come Leonardo o Eni, spendono fior di soldi per il greenwashing (alla faccia dei core-business, come il petrolio o le armi, tra i più inquinanti), investendo in campagne pubblicitarie verdi, e si sforzano di presentare regolarmente anche il bilancio di sostenibilità e innovazione.

E’ quindi davvero singolare che, in una costola del sistema politico tradizionalmente permeabile agli equilibri di potere, qual è l’azienda Rai, nessuno dei massimi dirigenti si sia posto il problema di quale insensibilità ecologica avrebbe mostrato l’immagine stessa di questo Sanremo diventato ‘Tele Vortex Trash’.

Ora, nessuno pretende che la Rai scelga sobrietà e sottrazione come cifra artistica degli show, o che Amadeus conosca la lezione di Peter Brook: ma nemmeno che tutti ignorino quanto, parlando di televisione e di mondo dello spettacolo, la componente estetica sia il cuore del contenuto. E quest’immagine di plastica così spudoratamente luminosa di Sanremo Vortex Trash, non evoca solo lo spreco offensivo su cui si fonda, ma in primo luogo comunica un’artificiosità sfacciata che fondamentalmente appare, di per sé stessa, anti-ecologica.

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