Missione all’insegna del numero 7: sette mesi di viaggio; sette minuti di fiato sospeso, il tempo dell’ammartaggio; sette strumenti a bordo per studiare la superficie di Marte per i prossimi quasi 700 giorni. D’accordo, sono solo 687, un anno marziano, due anni terrestri, ma era divertente continuare con la saga del numero sette. Obiettivo della missione: trovare indizi, meglio ancora prove, che nel passato su Marte c’erano forme di vita, magari ancora a tutt’oggi.

Perseverance, veicolo su sei ruote, o meglio robot su sei ruote e il suo collega volante Ingenuity (attenzione si tratta di “falso amico”: si traduce in italiano con “ingegnosità”, non ingenuità…), visto che si tratta di un drone, sono alla ricerca della vita perduta. Perseverance si è messo subito al lavoro. Le immagini ad altra risoluzione che invia a Terra, grazie a una serie di ripetitori in orbita intorno a Marte, sono spettacolari e a colori. Ingenuity sarà attivato a partire dalla prossima primavera. Prima il suo socio Perseverance deve trovare un terreno sufficientemente piatto e liscio per depositarlo al suolo.

Verranno raccolti campioni di roccia, saranno analizzati e infilati in appositi contenitori metallici che verranno recuperati dalla missione Mars Sample Return, già in fase di progetto. Ci lavorano anche l’Agenzia Spaziale Italiana e Leonardo, azienda internazionale con radici italiane di aeronautica, aerospazio e altro ancora.

C’è da dire che di recente c’è folla su Marte. Dopo la sonda Hope degli Emirati Arabi, è in orbita di parcheggio Tianwen-1 della 中国 (zhōnggu, ovvero “Regno di Mezzo”), meglio conosciuta come Repubblica Popolare Cinese (中华人民共和国, zhōnghuá rénmín gònghégu), che farà scendere il suo di rover, ovvero il fuoristrada marziano, nei prossimi mesi.

Sabato 20 febbraio i tecnici della Nasa hanno fatto esplodere le cariche pirotecniche che liberano “l’albero” di Perseverance. Una specie di palo con in testa le telecamere necessarie alla guida e due strumenti scientifici: il sistema Mastcam-Z, che sta per zoom, e uno strumento laser denominato SuperCam. Mastcam-Z ha una vista super-umana perché riesce a vedere anche nell’infrarosso e nell’ultravioletto. Consente la registrazione di immagini in tre dimensioni, garantendo ai piloti terrestri la vista stereoscopica del terreno, di guidare con maggiore precisione il braccio robotizzato e di potere scegliere al meglio le rocce da raccogliere e analizzare. Le immagini più belle vengono poi date in pasto ai curiosi terrestri che seguono, tramite web, le avventure marziane.

SuperCam, grande quanto una scatola di fiocchi d’avena, permette di studiare la mineralogia e la chimica delle rocce e della superficie marziana sparando, fino a sette (ancora!) metri di distanza, impulsi laser che, alla temperatura di circa 10mila gradi centigradi, fanno evaporare piccole quantità di roccia o di suolo. I gas prodotti vengono analizzati da un’altra telecamera per identificarne i componenti. Si cercano minerali che si formano in presenza di acqua liquida: argille, carbonati e solfati. Dove c’è acqua c’è, o c’era, vita…

Supercam è anche dotato di un laser a luce verde che permette di determinare la composizione molecolare dei materiali della superficie di Marte. Questo raggio verde eccita i legami chimici in un campione e produce un segnale funzione degli elementi presenti. La tecnica utilizzata si chiama spettroscopia Raman. Non solo. Il laser verde induce alcuni minerali e sostanze chimiche a base di carbonio a emettere luce o fluorescenza e lo fanno a velocità diverse. Il sensore di SuperCam è dotato di un otturatore che può chiudersi in un tempo fino a 100 nanosecondi alla volta. La modifica della velocità dell’otturatore (una tecnica chiamata spettroscopia di luminescenza risolta in tempo) consente agli scienziati di determinare i composti presenti in base ai tempi di vita delle bande di emissione.

Inoltre, SuperCam può utilizzare la luce visibile e infrarossa (Visir, VIsible & InfraRed) riflessa dal Sole per studiare i minerali di rocce e sedimenti. La tecnica Visir completa la spettroscopia Raman; ogni tecnica è sensibile a diversi tipi di minerali.

Tutto questo e molto di più per caratterizzare la geologia di Marte, ricostruire la sua storia climatica e cercare i segni di antica vita microbica. Se i primi due obiettivi sono strategici per le prossime missioni con equipaggio a bordo, il terzo ha implicazioni scientifiche e filosofiche, molto profonde.

Dovessimo avere prove inconfutabili della presenza di vita aliena su Marte, gli esseri umani devono accettare di non essere unica specie inteligente (quanto nol dico) nell’universo. Fine dell’antropocentrismo, ovvero della tendenza a considerare l’essere umano e tutto ciò che gli è proprio come centrale nell’Universo. Centralità intesa da semplice superiorità rispetto al resto del mondo animale a preminenza ontologica su tutta la realtà, dove l’uomo è espressione immanente dello spirito che è alla base dell’Universo.

Il concetto di “alieno” riferito a forme di vita merita di essere approfondito. Possiamo parlare di forma di vita aliena se dovessimo trovare del materiale biologico che non trova corrispondenze nel nostro albero filogenetico. Si tratta del nostro albero della vita che rappresenta la varietà e l’evoluzione della vita sulla terra a partire da un antenato comune. Più in dettaglio, se dovessimo trovare una sequenza di proteine ribosomiche che non fa parte delle 20 presenti nei tre domini in cui vengono suddivisi i viventi, allora saremmo in presenza di vita aliena. Opportuno sottolineare che nulla vieta che la si possa trovare, da qualche parte, qui sulla Terra.

Comunque, cercare forme di vita su Marte apre un dilemma logico: come farlo senza contaminarlo con forme di vita terrestri. Una tale contaminazione presenta due pericoli:

1. troviamo vita su Marte perché l’abbiamo importata dalla Terra, oppure

2. mettiamo in pericolo le forme di vita indigene di Marte a causa della competizione delle forme di vita terrestri che abbiamo trapiantato.

Tre sono le possibilità da considerare: esiste vita su Marte diversa, aliena, rispetto a quella terrestre; esiste vita su Marte, geneticamente imparentata a quella terrestre; non c’è vita su Marte. Soluzione al dilemma è l’esplorazione di Marte in forma biologicamente reversibile. Ovvero, su Marte mandiamo artefatti umani del tutto sterilizzati. Se poi così non fosse, comunque ci pensano la radiazione ultravioletta e l’atmosfera ossidante presenti su Marte a completare l’opera. L’esplorazione di Marte apre uno spazio-problema che tocca l’intero sapere umano: politica, società, economia, scienza e tecnologia, filosofia e teologia. Affascinante, ne riparleremo.

Dimenticavo: siamo tutti in attesa dei soliti complottisti-negazionisti e delle loro dimostrazioni pseudoscientifiche che non siamo mai andati su Marte, non siamo su Marte e che Marte, anche lui, è piatto.

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