Più ampia sarà la composizione della maggioranza, meno politico sarà il governo. E dunque: con un sostegno molto eterogeneo quello di Mario Draghi sarà inevitabilmente un esecutivo puramente tecnico. Un’equazione che nei palazzi del potere politico ripetono in continuazione in queste ore cruciali per la nascita della nuova maggioranza. Un percorso ancora tutt’altro che definito, sul quale peseranno due variabili: il voto degli iscritti al Movimento 5 stelle su Rousseau, quello dei deputati della Lega al Parlamento europeo sul Regolamento del Recovery Fund. Sul primo è impossibile fare un pronostico, anche se la consultazione online arriva dopo le nette aperture a Draghi da parte di Beppe Grillo, Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Il secondo invece rischia di segnare una imprevedibile svolta europeista del partito di Matteo Salvini, pronto a cambiare radicalmente le sue posizioni – non solo sull’Ue e sulla politica monetaria, ma pure sui migranti – pur di entrare nel nuovo governo. Dopo l’astensione delle scorse settimane il Carroccio potrebbe votare a favore: deciderà solo dopo l’incontro col presidente del consiglio incaricato. Ma andiamo con ordine.

Gli 8 punti programmatici – Ieri Draghi ha cominciato il secondo giro di consultazioni, incontrando i gruppi “piccoli“. Per la prima volta sul tavolo sono stati messi i temi fondamentali del programma del nuovo esecutivo. Otto punti programmatici, con tre maxi riforme: quella della pubblica amministrazione, del fisco e della giustizia civile. Il premier incaricato ha indicato cinque emergenze sulle quali vuole operare subito: quella ambientale, quella sanitaria con la campagna vaccini da accelerare, quella del lavoro con la “tutela” dei nuovi disoccupati, delle imprese (con un sostegno anche alle banche) e la scuola, con il calendario che sarà allungato fino a giugno per recuperare i giorni persi causa pandemia. È soprattutto il passaggio sulle tre maxi riforme che ha colpito gli interlocutori dell’ex governatore di Bankitalia per una “sfumatura temporale”: pure se connesse con il Recovery, la complessità dei temi trattati dai tre interventi legislativi sembra consigliare un orizzonte temporale non breve.

Consultazioni, giorno due – Anche oggi Draghi dovrebbe discutere di temi con gli altri partiti: si parte col Maie e con Leu, e poi si prosegue con Italia viva, Fratelli d’Italia, Pd, Forza Italia, Lega e Movimento 5 stelle. Anche oggi l’ex presidente della Bce non dovrebbe parlare di nomi. Non ci sarebbe, insomma, alcun riferimento alla composizione della squadra di governo. È chiaro, però, che questo tipo di trattative non viene portato avanti durante consultazioni ufficiali ma durante colloqui diretti di Draghi coi leader. Colloqui che non possono cominciare prima che il premier incaricato delimiti il perimetro della sua larga maggioranza. Fino a oggi l’ex presidente della Bce ha ottenuto i Sì della maggioranza che ha sostenuto il governo Conte 2, ma anche quelli di Lega e Forza Italia. Un solo partito ha annunciato che vuole stare fuori dal gioco: Fratelli d’Italia.

Ministri tecnici e politici senza big – Ora però tocca a Draghi spiegare come intende tenere insieme forze così distanti. Opterà per una maggioranza “larghissima”, come quella uscita dal primo giro di consultazioni, e quindi sarà in qualche modo costretto a varare un governo del presidente con tutti i ministri tecnici? O alla fine terrà fuori qualcuno? Domande che solo il premier incaricato potrà sciogliere e alla quale è legato ogni discorso sui ministeri. Dopo aver concluso le consultazioni Draghi deve trovare la quadra per varare quello che molti immaginano come una nuova versione del governo Ciampi del 1993: tecnici nei ministeri chiave, politici negli altri ma senza i leader. L’ex governatore dei Bankitalia vorrebbe affidare a professionalità esterne al mondo della politica il ministero della Giustizia, quello degli Interni e quello dell’Economia. Il sottosegretario alla presidenza del consiglio sarebbe una figura di sua fiducia, mentre nell’esecutivo non entrerebbero i big di partito, come per esempio Nicola Zingaretti e Giuseppe Conte.

L’euroLega: l’incognita della svolta Ue di Salvini – Discussioni ancora premature, visto che prima di parlare di ministri il premier incaricato deve decidere da quale maggioranza partire. I dubbi sono tanti. Nonostante la recentissima giravolta della Lega – ancora ieri sera Claudio Borghi è arrivato a definire quella di Draghi come “la scelta più sovranista che possiamo fare” – non si riesce ancora a capire come possa l’ex presidente della Bce varare un governo europeista col Carroccio dentro. Certo è che Salvini sta premendo sull’acceleratore del trasformismo pur di entrare in maggioranza. Parlamentari, economisti e tecnici della Lega sono al lavoro in queste ore in vista del voto sul Recovery Fund previsto per mercoledì sera al Parlamento europeo. Dopo l’astensione sul documento in commissione ai tempi del governo Conte, ora il Carroccio attende l’incontro con Draghi previsto a Roma poco prima della votazione a Bruxelles prima di prendere la decisione definitiva. Una svolta sulla quale punta Forza Italia, i cui big – da Antonio Tajani a Mariastella Gelmini – si sono prodotti nelle ultime ore in appelli continui agli alleati affinché votino sì al Recovery in Europa. Una completa inversione a U quella del partito di Salvini, motivata con un ragionamento un po’ contorto: un conto era il silenzio del precedente governo, che non ha coinvolto nessuno nella stesura del Recovery, altro – è quello che filtra dal Carroccio – sarebbe un piano di investimenti, crescita e sviluppo condiviso col Paese, che permetta di superare le politiche di tagli e austerità che tanti danni hanno provocato.

Draghi, Stelle e il voto su Rousseau – Più lineare, fino a questo momento, il percorso seguito dal Movimento 5 stelle, che però ha annunciato di volersi affidare al voto degli iscritti su Rousseau per decidere se sostenere o meno il governo nascente. Per dare una spinta al movimento in quello che per molti è il periodo più delicato della sua storia si è mosso direttamente Beppe Grillo. Il fondatore è andato a Roma e ha guidato la delegazione M5s da Draghi, dopo averlo sentito al telefono per una conversazione lunga più dì un’ora. Poi è arrivato Giuseppe Conte, che all’assemblea dei parlamentari M5s ha spinto la principale forza politica del Parlamento a stare al tavolo, soprattutto per “vigilare” sulla Lega, partito che “teme” e del quale non si fida. Il premier ha poi annunciato che “si cercherà di porre condizioni tali che alcuni soggetti non potranno più rimanere al tavolo“. Una strategia che però non comprende la permanenza dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi al governo: Conte ha spiegato che non farà parte della squadra ministeriale dell’ex presidente della Bce. Governista convinto è anche Luigi Di Maio, che su facebook ha spiegato come un sostegno a Draghi significherebbe per il Movimento mantenere lo status di ago della bilancia.

Il timing del nuovo governo – Il voto su Rousseau, però, potrebbe cambiare le carte in tavola. Di sicuro allunga leggermente l’iter per arrivare alla formazione del nuovo governo. Sul portale online dei 5 stelle si vota dalle 13 di mercoledì 9 febbraio alla stessa ora del giorno dopo. Quando Draghi – che finirà le consultazioni mercoledì pomeriggio dopo gli incontri con le parti sociali e gli enti locali – potrebbe salire al Quirinale. Le problematiche legate alla composizione della squadra potrebbero portare il premier incaricato a prendersi qualche altro giorno di approfondimento, tanto da scavallare la settimana. Se invece dovesse avere già chiara la composizione della squadra, già lo stesso giovedì potrebbe recarsi al Colle per sciogliere la riserva e comunicare al presidente Sergio Mattarella che accetta l’incarico. A quel punto, si lavorerebbe alla nomina dei ministri e al giuramento. Al momento non pare che si possa arrivare a questo traguardo prima di venerdì. In questo caso il dibattito sulla fiducia in Parlamento sarebbe fissato nel week end. Una deadline che al momento appare difficile da rispettare.

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