Si torna a giocare all’Australian Open. Dopo la stagione di tennis dimezzata del 2020, causa pandemia, il primo Slam di quest’anno parte tra le mille incognite provocate dall’emergenza sanitaria e con l’assenza eccellente di Roger Federer. Lo svizzero non sarà a Melbourne e, all’alba dei 40 anni, chissà se lo rivedremo più. Presenti invece Novak Djokovic e Rafael Nadal, con quest’ultimo a caccia del record solitario di Major (attualmente è alla pari con Federer a quota 20). Lo Slam Down Under era stato, un anno fa, uno degli ultimi eventi sportivi ad accesso libero. E proprio da qui arriva un primo sprazzo di normalità, una novità a cui non eravamo più abituati: il ritorno del pubblico.

“Uno degli eventi sportivi internazionali con più pubblico degli ultimi mesi”. È con questa dichiarazione che il ministro dello sport dello Stato di Victoria, Martin Pakula, ha ufficializzato che l’Australian Open potrà aprire le porte a un massimo di 30mila persone al giorno. Più o meno il 50% della capienza complessiva dell’impianto. Il limite sarà poi ridotto a 25mila nell’ultima settimana di torneo – dai quarti di finale in poi – quando però si giocherà soltanto sul campo principale della Rod Laver Arena. Per il tennis è il secondo torneo che vede il ritorno del pubblico sugli spalti, dopo il Roland Garros di ottobre, quando però l’accesso fu consentito a un massimo di 1000 spettatori. Al netto di tutti gli accorgimenti sanitari ormai divenuti consueti (distanziamento sociale, mascherina e igienizzazioni), per gestire questi numeri Melbourne Park verrà diviso in tre zone: la Rod Laver Arena Zone, la Margaret Court Arena Zone e la John Cain Arena Zone. Gli spettatori non possono passare da una zona all’altra. Questo per garantire un maggior ordine e una miglior capacità di tracciamento di un eventuale positivo. Sarà poi impossibile avvicinare i giocatori. La separazione tra tifosi e atleti sarà netta e severamente controllata. La situazione verrà monitorata quotidianamente e non è da escludere che, nell’arco delle due settimane, lo Slam possa tornare a porte chiuse.

Ma come è stata possibile questa svolta in piena pandemia mondiale? La decisione sulla presenza del pubblico all’Australian Open è figlia del duro lockdown di sette mesi che il Paese ha attraversato – tra marzo e ottobre del 2020 – e del rigido protocollo sanitario attuato per tenere sotto controllo la diffusione del virus. Una politica che ha consentito allo Stato australiano di portare quasi a zero il numero di casi giornalieri di Covid-19. Il sistema di tracciamento, inoltre, non è saltato come nei paesi occidentali dopo la seconda ondata. E, vista anche la natura insulare del Paese, sono state attuate forti limitazioni per l’ingresso dall’estero.

Proprio quest’ultimo aspetto, però, ha creato non pochi problemi per l’organizzazione e lo svolgimento del torneo. A partire dalle date. In un primo tempo l’Australian Open doveva svolgersi tra il 18 e il 31 gennaio. Questo però avrebbe creato grosse difficoltà per l’arrivo dei giocatori. Il motivo? La quarantena obbligatorio di 14 giorni per chi arriva dall’estero. I tennisti sarebbero dovuti arrivare in Australia verso la fine di dicembre. Da qui si è aperto un dibattito durato circa un mese, conclusosi con la decisione di spostare il torneo tra l’8 e il 21 febbraio e la possibilità, per chi risultasse negativo al tampone e non fosse entrato a contatto con positivi, di poter uscire per allenarsi ma solo cinque ore al giorno e con lo stesso sparring partner. Alla frustrazione poi si è aggiunta la vera e propria tensione: due voli separati, uno da Abu Dhabi e l’altro dagli Stati Uniti, sui quali c’erano 47 giocatori, hanno registrato 3 positivi. Tutti i 47 passeggeri sono finiti in isolamento per 14 giorni. Con loro altri 25 tennisti, per un totale di 72. Per tutti questi niente 5 ore di “libera uscita” e sessioni di allenamento da svolgersi in camera, con tanto di video diffusi sui social a “documentare” i workout improvvisati.

Gli italiani – Tutte queste difficoltà e incertezze sembrano però non aver scalfito il morale e la forma degli azzurri. Almeno stando ai risultati dell’ATP Cup, il torneo a squadre prima del Major australe. Gli italiani infatti hanno raggiunto la finale, dopo un percorso che li ha visti superare nell’ordine Austria, Francia e Spagna. In grande condizione è apparso Matteo Berrettini, autore di tre vittorie contro Thiem, Monfils e Bautista Agut, senza lasciare neanche un set. Oltre al percorso in ATP Cup la salute del tennis maschile azzurro è confermata anche dal Great Ocean Road Open. Il torneo 250 ha visto il ritorno di una finale tutta italiana dopo 33 anni (Nargiso – Claudio Panatta a Firenze nel 1988). Protagonisti Jannik Sinner e Stefano Travaglia.

Nella giornata di venerdì 5 febbraio è stato invece sorteggiato il tabellone principale, rimandato di un giorno per un caso di positivo di un addetto di un albergo che ha costretto a un giro di 520 tamponi tra accreditati e tennisti (tutti negativi). Sono nove gli atleti nostrani impegnati. Tra i vari accoppiamenti spicca il match tra Jannik Sinner e Denis Shapovalov. Matteo Berrettini se la vedrà invece contro il due volte finalista Slam, Kevin Anderson. Per Seppi c’è Cuevas, mentre per Marco Cecchinato e Lorenzo Sonego ci sono, rispettivamente, McDonald e Querrey. Il francese Herbert è il primo avversario di Fabio Fognini. Travaglia – Tiafoe, Mager – Karatsev e Caruso – Laaksonen completano le sfide degli azzurri.

Twitter: @giacomocorsetti

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