Giovanni Malagò ce l’ha fatta: il Coni ha di nuovo il suo potere, o che dir si voglia “autonomia”, secondo lo slogan tanto abusato nelle ultime, martellanti settimane di pressing al governo. Dipendenti, immobili, quasi tutto come ai vecchi tempi, come se la riforma Giorgetti che aveva provato a ridimensionarlo non fosse mai esistita. E dunque niente sospensione del Cio (ammesso che sarebbe mai arrivata), niente Italia ai Giochi di Tokyo senza inno e bandiera, un disonore storico, una tale enormità che non avrebbe mai potuto verificarsi per davvero. Ma la prospettiva è bastata a mettere spalle al muro il governo ormai dimissionario e a far cadere le resistenze che da mesi bloccavano il provvedimento.

L’ok è arrivato proprio nell’ultimo Consiglio dei ministri del Conte 2, prima che il premier salisse al Quirinale per la crisi di governo. Non è nemmeno la prima volta che Malagò strappa ciò che vuole in extremis: l’ultimo atto del Conte 2 è un decreto salva Coni, un po’ come l’ultimo atto parlamentare del governo Gentiloni nel 2017 era stata l’approvazione della Legge Lotti sul limite dei mandati, che permetterà al n. 1 dello sport italiano una terza rielezione (la prossima, in calendario a maggio, fino al 2025). La dimostrazione che fino all’ultimo secondo c’è sempre tempo per un regalo a Malagò. In questo caso il governo è stato quasi costretto a farlo, dal polverone mediatico sapientemente orchestrato dal Foro Italico sul rischio di una figuraccia internazionale per il nostro Paese. Il 27 gennaio ci sarebbe stata la riunione del Cio, in cui il Comitato olimpico mondiale avrebbe sanzionato (così sosteneva il Coni) l’Italia per ingerenze della politica nell’autonomia dello sport.

La questione si trascina da un anno e mezzo, dalla riforma dello sport avviata dal Conte 1 col sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti e poi conclusa dal Conte 2 col ministro Vincenzo Spadafora. Un riassetto complessivo del sistema, in cui il Coni era stato fortemente ridimensionato con la creazione della nuova società governativa “Sport e salute”, ma che è rimasto a metà vista la mancata approvazione di una parte della legge delega, per i veti incrociati tra Pd e M5S. Da allora si è creata una situazione di limbo: “Sport e salute” affidata a Vito Cozzoli è ancora in cerca di identità, mentre il Coni, che ha recuperato terreno, lamentava la famosa mancanza di autonomia. Cioè il fatto che il suo personale, i suoi immobili, non dipendono più da una sua società di servizi ma di fatto da Palazzo Chigi. E questa sarebbe una “intollerabile” ingerenza politica.

Evidentemente si tratta di una questione solo formale, per cui è improbabile che l’Italia avrebbe mai potuto perdere la partecipazione ai Giochi, disonore riservato solo a colpe gravissime (lo scandalo doping russo; ci sono voluti 5 anni di richiami inascoltati per sospendere la Bielorussia del dittatore Lukashenko). Il Cio (di cui per altro Malagò è membro a titolo personale) però è sempre stato al fianco del presidente del Coni in questa battaglia. Così con l’avvicinarsi della scadenza il Coni ha potuto alzare i toni, con l’aiuto di titoli sui giornali e interviste a tamburo battente, trasformando un problema burocratico, una anomalia del sistema oggettivamente da sanare alla prima occasione utile, in un caso nazionale più importante persino della crisi di governo.

Il decreto restituisce al Coni una sua pianta organica importante, ben 165 dipendenti (il leghista Giorgetti gliene avrebbe dati una cinquantina, al Foro Italico ne volevano quasi 300) che dovranno transitare da Sport e Salute al Comitato tra problemi di legittimità concorsuale e livelli stipendiali differenti. Concessi anche i centri di preparazione olimpica, tra cui l’Acquacetosa, mentre a Palazzo H continuerà la faticosa convivenza con la società di Cozzoli. Ci saranno anche più soldi rispetto ai miseri 40 milioni assegnati per legge (quanti di preciso non si sa, da quantificare in base alle esigenze del nuovo personale). Non riavrà però una società di servizi tutta sua, una nuova “Coni Spa”, che era il vero sogno proibito di Malagò perché in forma privatistica gli avrebbe garantito molta più libertà di manovra (il Coni in quanto ente pubblico è ingessato dal codice degli appalti). Su quest’ultimo punto almeno si sono imposti il Movimento 5 stelle e lo stesso ministro Spadafora. L’autonomia è salva, l’era del Coni di Malagò può ricominciare. O forse non si era mai interrotta.

Non si è fatta attendere la risposta del responsabile di Sport e Salute Vito Cozzoli, che ha espresso “soddisfazione per il decreto”. “Perimetri chiari, ora la Società può occuparsi della base – ha detto – Come avevo chiesto ieri con forza in audizione alla Camera è stato scongiurato il pericolo di una SpA del Coni. Sarebbe stato un doppione inutile e dannoso per le casse dello Stato. E soprattutto per il sistema dello sport di tutti”. Cozzoli ha osservato che ora “Sport e Salute SpA può espletare la sua missione a favore dello sport di base. Manteniamo il controllo dei contributi agli organismi sportivi, il Foro Italico, lo Stadio Olimpico, l’Istituto di medicina dello Sport, la Scuola dello Sport e la Biblioteca – ha aggiunto – Tutti asset fondamentali per il nostro funzionamento nell’interesse dell’intero movimento”. Con l’acquisizione del registro delle società e delle associazioni sportive, con la promozione dello sport sul territorio, ha aggiunto Cozzoli, “la Società potrà arrivare ancora meglio a sviluppare la sua azione sullo sport di base, che merita massimo sforzo e massima attenzione, tanto più in questo periodo difficile”. Cozzoli ha concluso: “In sede di conversione del decreto in Parlamento continueremo a dare il nostro contributo”.

Twitter: @lVendemiale

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