Questa settimana abbiamo assistito all’inconsueto spettacolo dell’allestimento nel salotto di Lilli Gruber di un vero e proprio acquario. In cui – dopo Maria Elena Boschi – ora anche Andrea Orlando si è calato perfettamente nella parte del pesce in barile.

Guardando attentamente l’espressione melliflua di questo ex funzionario del Partito Comunista di Spezia si possono ricavare due deduzioni, una d’ordine generale e l’altra di tipo congiunturale: la prima è la conferma della provenienza dalla città italiana dove meglio e più intensamente si coltiva la sindrome cospirativa, la congiura celata sotto le coltri delle banalità, antropologicamente confermata dalla sua antica sodale e concittadina Raffaella Paita.

Più legata all’attualità, la certificazione che gli scriteriati attacchi incendiari contro la persona del Primo Ministro, ad opera del brucia-baracche Matteo Renzi, hanno trovato sponde inconfessate e viatico incoraggiante anche da parte degli ambienti più politicanti e poltronisti del Pd.

Insomma, una sorta di “intentona” (leggi, tentativo maldestro di colpo di Stato da repubblichetta delle banane) che per ora non riesce ad aggirare l’altolà del Presidente Mattarella (se il governo cade si va alle elezioni), che prefigura l’immediata mattanza di buona parte di questi avventuristi della politica senza carte in regola e retroterra minimo di consensi per essere rieletti e per – così – continuare a bazzicare ben remunerati i corridoi in penombra della politica intesa come carrierismo accaparrativo.

Del resto – restando ancora al caso Orlando – non si ricordano suoi contributi politici degni di nota, a parte la pensata – in quanto responsabile giustizia del suo partito – di fotocopiare le proposte in cauda venenum dell’avvocato Niccolò Ghedini in materia di separazione delle carriere dei giudici.

Ora il giovanotto – noto allo stesso modo di Paris Hilton (e toni Negri e Slavoj Žižek: copy Tony Judt) “famosa per essere famosa” – si è lanciato in una vaga dissertazione sul modello organizzativo predisposto da Conte per gestire i fondi del Next Generation, come giustificazione dell’equidistanza nell’aggressione di Renzi al premier.

E qui viene francamente da ridere allo spettacolo di uno, inadatto al compito di mandare avanti una mescita di Sciacchetrà delle Cinque Terre, che si impanca a teorico dell’organizzazione. Una pretesa sul faceto che lascia intendere due cose: la pretestuosità degli argomenti avanzati e la triste verità che i primi assaltatori alla diligenza carica degli euro di Bruxelles sono proprio annidati in questa classe politica.

Così capiamo meglio le ragioni per cui Giuseppe Conte persegue la struttura a task force per gestire un’operazione dalle dimensioni epocali (trarre in salvamento un Paese che da decenni scivola verso l’abisso) e che l’anziano cicisbeo Sabino Cassese definisce “rococò”: i dubbi sulla capacità amministrativa della Pubblica Amministrazione, la palese disistima rivolta a un personale politico d’infimo livello.

Del resto, una soluzione già ampiamente adottata in passato (a livello gargantuesco da Renzi) e che segue una saggia, quanto antica, indicazione di un lucido uomo di Stato quale Francesco Saverio Nitti (1868-1953), secondo cui le inconcludenze di una burocrazia elefantiaca, ossessionata dalla priorità delle procedure, può essere aggirata da strutture snelle e tecnocratiche, chiamate a interventi finalizzati nella logica del problem solving.

A conferma dell’allergia nazionale per le strutture macro e la predilezione per unità mini sul modello della bottega dell’arte: siamo il Paese dei solisti alla Della Robbia, mica dei “signori della complessità” alla Alfred Sloan (mitico organizzatore della General Motors multi-divisionale) o alla Taiichi Ohno (inventore del modello Toyota).

Semmai il guaio è che il presunto tiranno Conte non riesce a “tiranneggiare” la materia per eccesso di minimalismo. Quando “il progetto Italia post Covid” andrebbe trasformato nell’epopea di un intero popolo, che si stringe attorno al proprio leader per un’impresa difficile quanto mobilitante, entusiasmante. Riattivando quel consenso che ci fu nella prima fase del contrasto alla pandemia. Alla faccia della miserabilità di lillipuziani, ansiosi di filarsela con la cassa.

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