Svolgevano “una vera e propria opera di coordinamento dell’attività di spaccio, impartendo precise indicazioni ai vari complici”. Per poi occuparsi anche del recupero crediti. Tutto ciò in “stretto collegamento con ambienti criminali di più alto livello”. Erano in corso dal 2019 le indagini su Gabriele e Marco Bianchi, i due fratelli esperti di arti marziali in carcere con l’accusa – condivisa con altri due coetanei – di aver massacrato di botte e ucciso, nella notte fra il 5 e il 6 settembre scorso a Colleferro, il 21enne Willy Monteiro Duarte. I “gemelli di Artena”, rispettivamente 26 e 24 anni, sono stati raggiunti questa mattina da una nuova ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Velletri, Ilaria Tarantino, questa volta per spaccio di sostanze stupefacenti. Con loro, è finito in carcere anche Omar Sahbani, 26 anni, uno dei giovani presenti a bordo del Suv dei Bianchi che si è defilato dalla “piazzetta” di Colleferro dopo la rissa che ha visto Willy rimanere a terra in fin di vita.

Soprattutto, nell’elenco dei clienti abituali che si rifornivano di cocaina dai fratelli Bianchi, secondo gli investigatori, ci sarebbe anche Michele Cerquozzi – non indagato – colui che aveva telefonato ai due picchiatori chiedendo loro di intervenire a Colleferro per difendere un loro conoscente di Artena. A quanto ricostruito dai carabinieri della compagnia di Colleferro e della stazione di Artena, Marco e Gabriele Bianchi vendevano la loro cocaina pura al 75% al prezzo di 100 euro al grammo, attraverso dosi di 0,40 grammi a 40 euro ciascuna. Attività che hanno portato avanti anche durante il lockdown primaverile, utilizzando al telefono parole chiave come “caffè”, “caramelle”, “sigarette”, “magliette”, “film” e “cd di Gomorra”. Nel corso delle loro indagini, gli inquirenti hanno ascoltato i vari clienti del sodalizio, “coordinato” dai Bianchi e al quale rispondevano, fra gli altri Sahbani e altri due giovani, Andrea Cervoni, 20 anni, e Orlando Palone, 19 anni. Quasi tutti uomini, per lo più genitori con figli, in molti hanno collaborato con gli inquirenti. Dai verbali tuttavia si apprende che uno di loro, Michele D.S., il 25 giugno scorso – dunque prima dell’omicidio di Monteiro Duarte – ha invece evitato di collaborare perché, a suo dire, “ho una famiglia e tre figlie e non mi sento tutelato da voi Carabinieri” mentre “i contatti telefonici fanno riferimento a normali incontri di amicizia con Gabriele Bianchi”.

Ed è proprio l’aspetto intimidatorio – più volte venuto fuori durante le indagini sulla morte del 21enne di Colleferro – l’altro grande tema delle indagini. Fra i testimoni chiave emerge la figura di Marco e Matteo B., padre e figlio. Matteo era un assuntore di cocaina e acquistava le dosi dai fratelli Bianchi. Quando il ragazzo finisce in debito con il gruppo di spacciatori per appena 20 euro, però, i due – secondo quanto denunciato alle forze dell’ordine – vengono aggrediti e minacciati prima da Sahbani e poi dai “gemelli”. “Sei un infame tu e tuo padre, siete solo dei pezzi di merda… avete torto marcio e andate pure a fa la denuncia infami… morti de fame”, solo una delle frasi rivolte da Omar a Matteo. Poi l’aggressione, avvenuta il 30 giugno 2019. Dalla ricostruzione dei verbali emerge che i Bianchi avevano prima pestato a sangue Matteo e, successivamente, si erano scagliati contro Marco, fino a quel momento ignaro della situazione e intento a chiedere spiegazione ai fratelli: “Improvvisamente – si legge nella denuncia – ricevevo un violento colpo alla schiena (…) che mi procurava immenso dolore e quasi uno svenimento. Subito dopo, nel tentativo di rialzarmi, il ragazzo di fronte a me si scagliava contro di me con palesi mosse di arti marziali del tipo Mma e mi scaraventava un pugno sullo zigomo ed occhio destro e un colpo assestato nello sterno che mi faceva rovinare a terra, alla presenza di mio figlio”.

Il gip ha ravvisato diverse esigenze cautelari nei confronti degli indagati, che sarebbero dunque finiti comunque in carcere. “Marco e Gabriele Bianchi non svolgono attività lavorativa stabile – si legge nel dispositivo – e non dispongono di redditi leciti (non hanno praticamente mai presentato dichiarazione dei redditi. Inoltre, dall’analisi dei conti correnti intestati ai predetti, quasi tutti con saldo pari a zero, sono state rilevate pochissime operazioni, per importi irrilevanti e risalenti nel tempo. Tale circostanza induce a ritenere che gli indagati traggano i loro mezzi di sussistenza unicamente da attività illecite e, in particolare, dallo spaccio di sostanze stupefacenti. Attività, questa, che presuppone la disponibilità di denaro contante e non tracciabile”. In tutti i modi, “i fatti contestati non appaiono occasionali ma sono chiaramente indicativi di una spiccata capacità delinquenziale e di un’attività illecita posta in essere in modo sistematico nell’ambito dello spaccio di stupefacenti senza soluzione di continuità”.

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