Come scrive la sua musica un grande compositore? Alcuni lettori risponderanno che lo fa di getto, stimolato da un’ispirazione eccitata, da un’idea istantanea che si formalizza in pochi attimi sul pentagramma. Non è così. Esistono, certo, anche composizioni nate sull’onda di sollecitazioni immediate, ma in genere i lavori complessi soggiacciono a riscritture, modifiche, cambiamenti, revisioni.

Come facesse Gustav Mahler (1860-1911) ce lo spiega Anna Ficarella, musicologa addottoratasi nel Musikwissenschafliches Institut dell’Università di Colonia, oggi docente nel Conservatorio di Fermo. Il suo libro ha un titolo attraente: Non guardare nei miei Lieder!, e porta il sottotitolo Mahler compositore orchestratore interprete (Lim 2020).

La citazione nel titolo proviene da un Lied di Mahler su testo del poeta Friedrich Rückert (1788-1866), Blicke mir nicht in die Lieder! In questo brano per voce e orchestra c’è la fascinosa immagine delle api, che gelosamente custodiscono il frutto del loro lavoro. Lo stesso deve fare il compositore con le sue idee musicali: nessuno deve curiosare, nessuno deve indagare come esse si sviluppino. Neppure lui osa guardare: è bene attendere il prodotto finito.

Mahler sembra diffidare dei filologi e degli esegeti: nutre il timore che il loro occhio possa fraintendere il senso del suo lavoro e dunque restituirne un’immagine deformata. E infatti dichiara a più riprese di voler distruggere i propri schizzi e abbozzi. Cosa che, per fortuna, non gli riuscì del tutto: così, oggi abbiamo materiali sufficienti per comprendere gli stadi del suo pensiero compositivo.

Ficarella si avventura nell’operazione che Mahler temeva, e lo fa egregiamente, il musicista oggi ne sarebbe lusingato: indaga l’iter creativo, si concentra sulle Sinfonie e analizza i vari passaggi che dalle idee originarie conducono all’opera finita come la conosciamo. Ci mostra e discute questo work in progress, che continua anche dopo che la composizione è stata eseguita con l’orchestra, in prova o addirittura in concerto; e prosegue fino alla cosiddetta Referenzpartitur, ossia la partitura di riferimento per la pubblicazione definitiva.

In questo processo entra in gioco un fattore fondamentale, il ruolo del direttore d’orchestra, ossia il compositore stesso all’atto dell’esecuzione dell’opera. Mahler apporta modifiche autografe – le Retuschen – relative non tanto alla forma e alla struttura melodica, quanto alle dimensioni sonore: strumentazione, timbrica, articolazione, fraseggio e così via.

Questi ritocchi, che sembrerebbero lasciare aperto il processo senza praticamente mai concluderlo, egli li reputa essenziali: l’attenzione a ogni dettaglio e la cura del singolo elemento diventano spasmodiche. Le Sinfonie non nascono pertanto solo dal processo di scrittura, ma anche dall’esecuzione orchestrale, dall’esperienza del direttore, in un rapporto osmotico incessante fra pentagramma ed espressione sonora in concerto.

Il desiderio di perfezionare l’opera non si ferma alle proprie Sinfonie, ma si estende a composizioni altrui, fino a metter mano a un vero e proprio monumento, la Nona di Beethoven, che Mahler diresse ben dieci volte. Fu però duramente attaccato dalla critica viennese nelle esecuzioni del 1900 e 1901. Al di là di talune critiche ideologicamente motivate dall’antisemitismo strisciante, altre furono mosse da chi mal sopportava le modifiche alla strumentazione stabilita da Beethoven, le scelte agogiche non convenzionali, o addirittura il taglio di otto battute nello Scherzo della Sinfonia.

Qualcuno sostenne che proprio l’attenzione febbrile al dettaglio, tipica di Mahler, metteva in crisi la visione complessiva della forma. Ficarella discute anche gli interventi di Mahler sulle opere di Mozart: il compositore tentò di recuperare capolavori caduti in oblio durante l’Ottocento come Così fan tutte; alla testa della Hofoper di Vienna per un decennio (1897-1907), organizzò un ciclo mozartiano nella stagione 1905-06: lo inaugurò con una nuova messinscena delle Nozze di Figaro e poi proseguì con il Don Giovanni.

Il volume di Anna Ficarella coniuga competenza musicale, acribia filologica, visione culturale di ampio raggio. È un lavoro assai serio, che accresce la conoscenza e imprime una spinta virtuosa agli studi musicologici sul compositore austriaco. È rivolto soprattutto a un pubblico di specialisti, ma lo stile piano e colloquiale ne rende fruibili molte pagine anche ai melomani colti.

Articolo Precedente

Spotify Wrapped 2020: ecco gli artisti e gli album più ascoltati in Italia (e c’è una sorpresa)

next
Articolo Successivo

Led Zeppelin, un addio lungo quarant’anni: nove ragioni per amarli

next