“Prima dell’attacco pandemico le Marche avevano 129 posti letto di terapia intensiva e il dpcm della scorsa estate ha chiesto di crearne altri 105. A parte i 14 all’ospedale di Fermo le altre aziende non ne hanno creato ancora nemmeno uno, ecco la situazione in cui mi trovo ad operare”. Filippo Saltamartini, assessore regionale alla sanità della nuova giunta di destra, ha un problema con i posti letto e parla di una situazione ereditata dalla precedente giunta di centrosinistra, in carica fino a settembre. Le aree Covid non sono state adeguate e ogni ospedale adesso cerca di non stravolgere la sua natura per non dover bloccare l’attività operatoria e diagnostica. E anche l’incertezza sta creando disagi.

Per ora l’unico provvedimento adottato è stato quello di riaprire due moduli del Covid Hospital di Civitanova dove attualmente sono ospitati 19 pazienti, 8 dei quali in terapia intensiva. Senza personale qualificato da mettere dentro l’Astronave, Saltamartini ha dovuto chiedere aiuto alle stesse aziende ospedaliere attaccate frontalmente per ricevere qualche anestesista o infermiere professionale, incentivato a gettone. Gettoni a due velocità. Gli anestesisti dell’Area Vasta 3 dell’Asur, il territorio provinciale maceratese dove si trova il Covid Hospital, lavorano in base a ordini di servizio, percepiscono 30 euro lordi all’ora e il turno rientra nella normale rotazione degli ospedali di appartenenza. Chi invece viene da fuori, da altri ospedali delle Marche, ha un gettone di 60 euro lordi. Bonus per lavorare al Covid di Civitanova sono previsti anche per gli infermieri, ma nulla si sa riguardo agli operatori sanitari, tecnici, radiologi, fisioterapisti ecc. Questa organizzazione, con personale in arrivo saltuariamente da ogni angolo della regione e con turni sfalsati, non garantisce la continuità assistenziale.

Il resto dello scenario delle terapie intensive è problematico. Al momento gli ospedali marchigiani attivi sono quello dell’azienda Marche Nord a Pesaro che ospita 13 pazienti, Ospedali Riuniti di Ancona con 19 (presto saranno attivati altri 10 posti letto) e San Benedetto che si è attrezzato per arrivare ad 12. Il piccolo ospedale di Jesi ne garantisce 2 e i famosi 14 posti di Fermo dovrebbero essere attivati entro pochi giorni. A fine marzo, nel periodo di massima pressione, il sistema Marche aveva a disposizione 180 posti letto di terapia intensiva, oggi ne ospita 56 (complessivamente i pazienti ricoverati nelle Marche sono quasi 500, il 30 giugno erano 8 e il 9 marzo 1.168). Non va meglio per le altre intensità di cura Covid, dalla semi-intensiva ai reparti non intensivi.

Con i nuovi contagi mai così alti nelle Marche, soprattutto in provincia di Ancona (212 l’ultimo rilevamento e quasi 5mila da inizio pandemia), sono aumentati gli asintomatici e quelli con lievi sintomi che finiscono in ospedale. Al pronto soccorso di Torrette, il più grande di tutta la regione, ne arrivano una ventina al giorno. Non sempre si riesce a dimetterli perché non ci sono strutture dove ospitarli in attesa che diventino negativi o altre dove poter garantire loro lo svolgimento della quarantena. Emblematico il caso di un operaio bengalese della Fincantieri, impossibilitato ad isolarsi nel suo domicilio, è rimasto in un box del pronto soccorso per una settimana. Il concetto base è non allargare troppo il bacino Covid per non chiudere il resto dell’attività ospedaliera. In effetti il brusco stop della chirurgia, della diagnostica e dei ricoveri ha prodotto un effetto rebound spaventoso: “Molte persone hanno semplicemente smesso di curarsi e di venire in ospedale per paura del contagio e per il blocco delle attività – spiega il professor Stefano Gasparini, vicepresidente dell’Associazione Mondiale di Broncologia e Pneumologia Interventistica (Wapid) e vertice della pneumologia dell’ospedale di Torrette – . Sale operatorie, ambulatori e radiologie chiuse hanno prodotto risultati devastanti per tutti i pazienti che, Covid a parte, hanno continuato, purtroppo ad ammalarsi. Penso alle patologie cardiache e oncologiche in particolare. La nostra pneumologia, al tempo divisa in due parti, Covid e non, per ora è tutta ‘pulita’ e strapiena e arrivano pazienti in continuazione. Molti sono proprio quei casi cronici passati attraverso i disagi della prima fase pandemica”.

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