Dove sei? di Roberta Lena (People, 187 pp., 16 euro) è la storia vera di una donna – l’autrice – che ha dovuto penare nove mesi sapendo che la figlia era in Siria arruolata nelle unità femminili curde che combattevano contro i jihadisti dell’Isis.

Cosa avrà potuto significare, per centinaia di genitori europei, accettare in questi anni l’idea che le figlie o i figli combattessero volontari, dalla parte dei socialisti curdi e dei loro alleati democratici, contro i foreign fighter islamisti, altrettanto europei, che contribuivano a imporre lo Stato islamico?

Abbiamo conosciuto Annalisa e Alessandro, i genitori di Lorenzo Orsetti, caduto in battaglia nel 2019; e le altre? E gli altri? Non è facile accettare scelte simili da parte dei propri figli. Gesti che, per quanto giusti e generosi, lasciano dubbi sul valore che essi danno alla propria vita, sacrificata per quella degli altri, a un’esistenza frutto anche dell’amore e di sacrifici altrui. Ne nasce una sofferenza difficile da descrivere, che Roberta Lena ha ben sintetizzato con un verso di De André: “Non fossi stato figlio di Dio/Ti avrei ancora per figlio mio” (Tre madri).

Le condizioni in cui si trovava sua figlia, Maria Edgarda detta Eddi, hanno impedito spesso la comunicazione, lasciando Roberta costantemente nel dubbio che fosse già morta (da cui il titolo); tanto più con le terribili evoluzioni militari in cui è stata coinvolta: l’invasione turca di Afrin (2018) che ha provocato duemila morti tra le sue compagne e compagni, compresa l’amica britannica Anna Campbell, e 200mila profughi.

Roberta non ha potuto evitare dissidi con lei nei rari momenti di comunicazione, fino a immaginare silenziosamente un’assenza di pietà per lei come madre, o ad accusare come pugnalate frasi o parole distratte di conoscenti e colleghi, incapaci di comprendere una condizione che nessuno vorrebbe vivere.

Lei, attrice e regista, vive una condizione sui generis, quella del teatro: scorre lo smartphone in attesa delle ultime dalla Siria e dal Kurdistan dietro le quinte della sua rappresentazione o con amici e colleghi a un ricevimento di lavoro. Riga dopo riga Dove sei? scompone la percezione frivola del mondo che associamo allo spettacolo, rivelandone la crudeltà. Le persone che ci lavorano appaiono modeste, a volte povere e quasi sempre precarie (e prima del Covid); e alle difficoltà economiche si aggiunge, per le donne, la sorda persistenza di uno stigma inespresso e sottile, duro a morire.

Roberta è nuova a Torino, si è trasferita da Roma, e non può far altro, nella sua solitudine, che cercare conforto e attenzione attraverso le pagine dei social network. È un momento toccante del libro. Emana qui il senso di silenzio che avvolge l’essere umano nei momenti decisivi, gli stessi che forse viveva Eddi in quei giorni; un silenzio che sa di minaccia, o cela una condanna che nessuno oserebbe proferire, ma che si abbatte poiché nessuno proferisce fino in fondo il suo contrario.

Il finale della storia è ambivalente e in parte ancora da scrivere. La sua parte lieta – la più importante – è che Eddi è tornata senza ferite che si debbano o possano curare in ospedale. L’altra è che il 17 marzo il Tribunale di Torino l’ha dichiarata “socialmente pericolosa” in base a una norma le cui origini risalgono al fascistissimo 1931 – la “sorveglianza speciale” – che permette di limitare libertà e diritti civili senza accuse e senza processo, come è stato nel suo caso.

Nessuno ne ha parlato a causa della pandemia che calava sull’Italia in quei giorni, ma ogni volta che civili francesi o siriani vengono decapitati in nome di Dio, dovremmo chiederci perché Maria Edgarda deve rientrare a casa ogni giorno alle 21 e non può uscire fino alle 7; avvicinarsi a locali pubblici dopo le 18 (e il Dpcm non c’entra); partecipare a riunioni o intervenire in pubblico; o perché deve portare con sé un “libretto rosso” su cui la polizia possa annotare ogni giorno… che cosa? Che mentre si diffondeva il virus qualcuno si preoccupava della solidarietà tra donne, là dove esse venivano segregate, mutilate e lapidate? Questa nobiltà di Eddi era in verità l’unica certezza che sorreggeva una madre distrutta durante la sua assenza, dando un senso alla sua angoscia.

Il 12 novembre Roberta sarà davanti al tribunale di Torino per l’ultimo appello legale in favore di sua figlia. Sono due, questa volta, le donne da non lasciare sole.

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