Non è per caso il momento di cambiare il governo? La domanda fa capolino dai principali quotidiani del Paese con un singolare tempismo: arriva infatti nel pieno della seconda ondata dell’epidemia di coronavirus. Il governo di Giuseppe Conte ha dovuto varare alcune misure per combattere il contagio, ma occorrerà aspettare per capire se si tratta di misure sufficienti o se si dovrà varare un’ulteriore stretta. Una situazione d’incertezza che si vive anche nel resto d’Europa: dal Regno Unito alla Germania fino alla Francia, che da settimane fa registrare i numeri assoluti più alti. E infatti anche a Parigi e a Londra, passando per Berlino, è una corsa continua al coprifuoco e ai lockdown locali, nel tentativo di frenare l’epidemia. Saltando a piè pari qualsiasi ragionamento legato all’emergenza – le misure introdotte sono sufficienti? Come fare per bloccare il boom di contagi? Come prepararsi a un futuro di evidente convivenza con il virus? – opinionisti, direttori ed ex direttori di giornali si arrovellano sulla necessità immediata di mettere alla porta l’attuale esecutivo. E un nuovo governo diverso da quello guidato da Conte viene dipinto come unica e vera panacea di tutti i mali scatenati dall’epidemia. Ma soprattutto viene descritta come un’ipotesi realistica e veloce.

Problema: mentre le alchimie di palazzo si metteranno in moto per regalare al Paese una nuova guida, chi amministrerà la situazione emergenziale dovuta all’epidemia? Chi deciderà – prendendosi la responsabilità politica – se varare misure più o meno stringenti? Formalizzare una crisi, trovare una nuova maggioranza, formare un governo e farlo insediare, richiede tempi del tutto incompatibili con una situazione che richiede interventi (sta succedendo nelle ultime settimane) ogni 24 ore. Un’incognita non contemplata nelle prese di posizione di autorevoli commentatori che dalla bolla di Twitter approdano sulle prime pagine dei giornali. Il più attivo su questo fronte è da settimane Francesco Verderami. Pochi giorni fa la firma del Corriere è arrivata a citare sondaggio segreto, secondo cui Conte è alle prese con il più forte calo di consensi da quando è leader del governo, con un “-3,8% rispetto a dieci giorni fa, con minimo storico del 40%, a cui si unisce la flessione di 4 punti del governo sceso al 32,5%”. Numeri smentiti implicitamente il giorno dopo da Nando Pagnoncelli, sondaggista dello stesso Corriere della Sera, che a DiMartedì ha presentato un altro sondaggio dal valore diametralmente opposto a quello di Verderami: per il 54 per cento degli intervistati il premier è il leader politico che si sta muovendo meglio dal punto di vista politico in questa fase.

Secondo le stime di Pagnoncelli “il governo continua a godere della fiducia degli italiani“. Evidentemente, però, non di quella di Stefano Folli, che oggi si dispera sulle pagine di Repubblica: “Ciò di cui molti avvertono la necessità – un governo di vera unità nazionale con un premier e una classe dirigente di alto profilo – non è ancora alle viste”. È davvero così? Ristoratori e baristi afflitti dall’obbligo di chiusura alle 18 sognano sul serio un “governo di unità nazionale“? O sperano che un esecutivo – qualunque esso sia – li sostenga economicamente con provvedimenti adatti? E poi: che intende Folli per “governo di vera unità nazionale“, e con un “premier di alto profilo”? Lo spiega lui stesso alla frase successiva: “Giorgia Meloni propone un accordo tra destra e sinistra a su alcuni punti in cambio di una garanzia del capo dello Stato che si andrà a votare appena finita l’emergenza. È un tentativo di tornare alla politica, al di là della propaganda”. Dunque per Folli un governo tutti dentro con Meloni ideologa è “tornare alla politica“, mentre si suppone che l’attuale maggioranza con l’attuale presidente del consiglio sia da annoverare sotto le insegne della propaganda. “Tuttavia – ammette – più che la garanzia di Mattarella, servirebbe una precisa intesa preliminare tra le forze politiche sul voto (si suppone prima del semestre bianco). Ma è proprio tale intesa a mancare. A meno che lo stesso Mattarella non agisca per verificare l’ipotesi“. Traducendo dal politichese, sembra di capire che Mattarella – secondo i desiderata di Repubblica – dovrebbe staccare la spina all’attuale governo e formarne subito uno nuovo che metta insieme la Meloni con Pietro Grasso.

Il tutto assicurandosi di riportare il Paese alle urne entro il semestre bianco, cioè i sei mesi precedenti alla fine del suo mandato durante i quali non possono sciogliere le Camere. Significherebbe andare a votare entro il luglio del 2021: ipotesi francamente irrealistica. E non solo per i tempi stretti. Purtroppo per il giornale degli Elkann, infatti un presidente della Repubblica non può staccare la spina a un governo senza motivo. O quello attuale si dimette, oppure viene sfiduciato dal Parlamento: tutte le altre opzioni sono ipotesi che farebbero rabbrividire un attento custode della Costituzione come è Sergio Mattarella. Senza considerare che pure a voler buttare già l’attuale esecutivo stracciando la Carta, il capo dello Stato dovrebbe poi riuscire a formarne uno nuovo in pochi giorni: obiettivo che dopo i precedenti del 2018 e 2019 non sembra tra i più facili.

Formare un governo è un iter complesso, lungo e farraginoso. Soprattutto di questi tempi. Dopo le elezioni del 4 marzo 2018 ci vollero quasi 3 mesi prima che si riuscisse a varare quello sostenuto dal Movimento 5 stelle e dalla Lega. Prima di arrivare al giuramento del primo esecutivo guidato da Conte ci vollero tre giri completi di consultazioni, con in mezzo due mandati esplorativi falliti ai presidenti di Camera e Senato. In totale 88 giorni senza una maggioranza, in pratica un lockdown e mezzo senza nessuno che governa. Più breve l’iter che portò alla formazione del Conte 2: meno di un mese per far sedere allo stesso tavolo i 5 stelle e il Pd. Un tempo che comunque apparirebbe infinito in un momento come questo.

Allo stato, dunque, le uniche due maggioranze possibili – cioè quelle formate dai tre partiti più votati nel 2018 – sono già state sperimentate. E si tratta di maggioranze alternative, nel senso che appare improbabile oggi immaginare un governo sostenuto da Pd e Lega. Senza considerare che ancora oggi i 5 stelle pesano in Parlamento col 33 percento preso nel 2018: un nuovo esecutivo senza i grillini non è matematicamente ipotizzabile. A meno di non immaginare un “governissimo” che vada da Leu a Fratelli d’Italia, passando dal Carroccio e dai dem, con i 5 stelle all’opposizione. Va da sé che un simile minestrone sarebbe difficile da gestire: già all’interno dell’attuale maggioranza renziani, dem e grillini litigano spesso, nonostante i continui richiami di Mattarella alla coesione istituzionale. Chissà cosa succederebbe con una maggioranza formata da Meloni e Pierluigi Bersani, da Silvio Berlusconi e Andrea Orlando, da Matteo Salvini e Nicola Zingaretti. Senza considerare che almeno su un punto virologi e scienziati sembrano essere d’accordo: la letalità della pandemia rimarrebbe immutata. Il motivo è semplice: tra governi d’unità nazionale ed esecutivi coi premier d’alto profilo, il coronavirus non fa distinzione.

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