Ho letto l’Enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco. L’ho letta con una passione assoluta e nel corso della lettura mi sono commossa più e più volte. Non solo per le straordinarie parole in essa contenute, per la loro forza e bellezza, ma soprattutto perché quest’opera è talmente universale, talmente inclusiva e rivoluzionaria, che conferma ancora una volta l’animo puro di questo Papa. Francesco è davvero “fratello di tutti”, la sua grande umanità resterà per sempre nella storia e deve farci riflettere a lungo, molto a lungo su ciò che davvero conta in questo mondo.

Mi sorprendo da sola mentre parlo di un uomo di Chiesa con questa passione, con questa sincera ammirazione. La storia della cristianità ci ha abituato a personaggi di dubbia trasparenza, a uomini attirati sempre più da una vocazione al potere, che al bene comune e alla misericordia. In troppi hanno sposato la convinzione che essere vicini a Dio significasse sentirsi onnipotenti, essere detentori di privilegi anacronistici e di diritti esclusivi. E proprio a causa della mancanza di inclusività si è realizzata quella profonda frattura tra mondo clericale e gente comune, quel cortocircuito che ha allontanato dall’idea di religione stessa moltissime persone.

Io sono tra queste. Ho sempre preferito riporre la mia fiducia nell’essere umano in quanto tale e non in ciò che esso vorrebbe rappresentare. Ecco perché mi fido di Francesco, della sua sincera preoccupazione per questo mondo, della sua sincera vocazione cristiana, della sua dedizione alla causa dell’uguaglianza e della fraternità tra i popoli. Quando un uomo riesce a parlare in modo così semplice e diretto al cuore, quando trascendendo da tutto ciò che rappresenta desidera arrivare ad essere compreso da tutti, senza distinzione di cultura, colore della pelle, religione e orientamento sessuale, allora può davvero essere considerato – come Papa Francesco stesso ha ricordato – “Pontefice, cioè colui che costruisce ponti, con Dio e tra gli uomini”.

Un rivoluzionario, che non a caso porta il nome di un altro grande rivoluzionario della Chiesa Cattolica, San Francesco e proprio su di lui costruisce questa straordinaria Enciclica. Dalla vita di San Francesco il Papa trae insegnamento, considerandolo un esempio di inclusività e di fratellanza. Due caratteristiche fondamentali non solo per definirsi un vero cristiano, ma prima ancora un vero uomo.

Su di lui scrive: “È stato un padre fecondo che ha suscitato il sogno di una società fraterna. Egli invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio”. E queste non sono solo parole ben scritte, ma rappresentano davvero il modus vivendi di questo Papa così vicino alla realtà, di quest’uomo così desideroso di pace sociale che proprio a causa di questa sua apertura verso il mondo, compresi altri orientamenti religiosi e sessuali, è stato addirittura accusato di essere un eretico, le sue idee sono state viste come una minaccia per la stabilità dell’istituzione Chiesa. O forse, molto più semplicemente, hanno costretto in molti a fare i conti con i troppi scandali impuniti e con la crescente disaffezione per la Chiesa.

Questo Papa ha ristabilito quelle che dovrebbero essere le priorità di ogni religione. L’uguaglianza sociale e il rispetto per il prossimo, per esempio, sono concetti fondamentali che Francesco porta avanti con coraggio sin dall’inizio del suo pontificato: “Certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti […] È aumentata la ricchezza, ma senza equità, e così ciò che accade è che ‘nascono nuove povertà'”.

Apre un capitolo interessante sulla globalizzazione tecnologica e sui social media. Sono parole dure, ma incredibilmente vere quelle che Francesco usa per descrivere l’attuale alienazione di cui siamo vittime consapevoli, ma va anche oltre affermando che “c’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana. I rapporti digitali, che dispensano dalla fatica di coltivare un’amicizia, una reciprocità stabile e anche un consenso che matura con il tempo, hanno un’apparenza di socievolezza. Non costruiscono veramente un ‘noi’, ma solitamente dissimulano e amplificano lo stesso individualismo che si esprime nella xenofobia e nel disprezzo dei deboli. La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità”. Un pensiero lucido, ancorato alla realtà e persino laico.

Significativa è la sua posizione sui migranti e su come la becera politica tenda a minimizzare una condizione gravissima: “Tanto da alcuni regimi politici populisti quanto da posizioni economiche liberali, si sostiene che occorre evitare ad ogni costo l’arrivo di persone migranti. Al tempo stesso si argomenta che conviene limitare l’aiuto ai Paesi poveri, così che tocchino il fondo e decidano di adottare misure di austerità. Non ci si rende conto che, dietro queste affermazioni astratte difficili da sostenere, ci sono tante vite lacerate. Molti fuggono dalla guerra, da persecuzioni, da catastrofi naturali. Altri, con pieno diritto, sono alla ricerca di opportunità per sé e per la propria famiglia. Sognano un futuro migliore e desiderano creare le condizioni perché si realizzi”.

Emblematica di questa sua convinzione è la scelta di collocare in Piazza San Pietro – in onore della Giornata Mondiale del Migrante – il Monumento al Migrante “Angels Unwares”, un’opera dalla straordinaria potenza evocativa, realizzata dallo scultore canadese Timothy Schmalz che raffigura, a grandezza naturale, un gruppo di migranti e rifugiati, provenienti da diversi contesti culturali e razziali e anche da diversi periodi storici. Tutti vicini, stretti, spalla a spalla, in piedi su una zattera, coi volti segnati dal dramma della fuga, del pericolo, del futuro incerto.

Servirebbe un altro libro per descrivere con dovizia di particolari la profondità di questa Enciclica, che non può essere considerata un semplice testo religioso, ma uno sguardo ampio, lucido e a tratti impietoso sulla realtà, accompagnato dalla gentilezza e dalla grande umanità che contraddistingue questo Papa così deliziosamente atipico, che rifiuta di indossare scarpe firmate e sceglie di tenere al collo la croce d’argento che indossava quando era vescovo in Argentina.

Quest’uomo rappresenta per la Chiesa moderna una grande opportunità, l’occasione di avvicinarsi realmente e sinceramente al prossimo, senza orpelli inutili e col cuore aperto. Un’occasione che davvero speriamo non venga sprecata. In questo periodo storico, Papa Francesco è un simbolo di resistenza, di pace e di bellezza. E Dio (o chi per lui) sa se ne abbiamo bisogno!

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