L’istanza era stata presentata a giugno e la madre di Chiara Poggi aveva commentato: “Il colpevole è già stato trovato”. Oggi la Corte d’appello di Brescia ha rigettato la richiesta di revisione del processo presentata dai legali di Alberto Stasi. “Confermo il rigetto” si è limitato a dire il presidente della corte d’appello di Brescia Claudio Castelli. “Gli elementi fattuali che si vorrebbero provare con le prove nuove non sono stati comunque ritenuti idonei a dimostrare, ove eventualmente accertati, che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, debba essere prosciolto, permanendo la valenza indiziaria di altri numerosi e gravi elementi non toccati dalla prove nuove” scrive la corte d’appello di Brescia nelle motivazioni. Alberto Stasi è stato condannato a 16 anni di carcere per la morte della fidanzata il 12 dicembre 2015. I supremi giudici si erano espressi anche tre anni fa dopo la richiesta di revoca della sentenza sostenendo che i giudici dell’appello dovevano riascoltare i 19 testimoni, consulenti e periti, assunti come fonti di prova in primo grado.

“Sono stati individuati e sottoposti al vaglio della competente Corte di appello di Brescia elementi nuovi, mai valutati prima, in grado di escludere, una volta per tutte, la sua responsabilità – aveva spiegato l’avvocato Laura Panciroli dopo il deposito della richiesta di revisione – le circostanze su cui era basata la sua condanna (le stesse, peraltro, sulle quali era stato prima, ripetutamente, assolto) sono ora decisamente smentite. Si è sempre dichiarato innocente e in molti hanno creduto che la verità andasse cercata altrove. Ora ci sono elementi anche per proseguire le indagini”. Ma la corte non ha ritenuto idonei gli elementi. Il giorno del deposito della sentenza la madre della vittima aveva detto: “Lo dico come mamma di Chiara. So che il colpevole è già stato trovato dal Tribunale. C’è una sentenza definitiva della Cassazione e per me vale quella dopo tutto quello che c’è stato, dopo indagini così accurate non credo ci sia più niente da scoprire”.

La vicenda giudiziaria forse ora è chiusa. Dopo due assoluzioni in primo e secondo grado, era arrivata la condanna a 16 anni. Era il 13 agosto 2007 quando Alberto Stasi, studente della Bocconi, chiamò il 118 per denunciare la morte della fidanzata Chiara Poggi, 26 anni, massacrata nella villetta di Garlasco, dove la ragazza viveva con la famiglia. “Un’ambulanza in via Giovanni Pascoli a Garlasco”, “credo abbiano ucciso una persona. Ma forse è viva… non lo so”, disse all’operatore. Quando i soccorsi arrivarono il cadavere era riverso sulle scale della cantina con il cranio fracassato.

Due giorni dopo il funerale, il 20 agosto, Alberto Stasi riceve un avviso di garanzia: il reato contestato è quello di omicidio volontario. Poi la perquisizione della casa, i sequestri delle sue tre auto e due biciclette, il cambio degli avvocati e il ritrovamento di tracce del Dna compatibile con quello di Chiara che portano alla firma del fermo per omicidio volontario da parte del pm Rosa Muscio, non convalidato dal gip, Giulia Pravon, in mancanza di prove. Infine gli appelli, che sembravano non finire più. L’assoluzione in primo e secondo grado: nel 2009 per “mancanza di prove”, confermata nel 2011, annullata nel 2013 e rovesciata il 17 dicembre 2014 con la condanna a 16 anni.

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