“I dati confermano un’anomalia“. Il comandante del Ris dei carabinieri di Parma, Giampietro Lago, perito nominato dal gip del Tribunale di Bolzano, Walter Pelino, ha illustrato oggi in aula i risultata dalla sua sua terza perizia sull’elevata concentrazione di Dna nelle urine di Alex Schwazer del controllo antidoping dell’1 gennaio del 2016. “La concentrazione del Dna nelle urine non corrisponde ad una fisiologia umana”, ha spiegato chiaramente Lago. La perizia ha escluso, tra le varie cose, che l’aumento del valore sia stato dovuto al superallenamento. Lasciando spazio all’ipotesi da sempre sostenuta dal marciatore altoatesino e dal suo legale, quella del complotto: “La manomissione sicuramente c’è stata, questo valore è molto molto alto: adesso sarebbe bello sapere chi è stato il mandante della manipolazione. Perché avrebbero manipolato le mie provette? Ci sono diversi motivi ma li tengo per me”, ha detto Alex Schwazer all’Agi al termine dell’udienza in Tribunale a Bolzano.

L’udienza di oggi, scrive La Gazzetta dello Sport, potrebbe essere l’ultima dell’incidente probatorio. Al termine il gip dovrebbe rinviare le carte alla procura che dovrà decidere sulla posizione di Schwazer. Il marciatore spera nell’archiviazione, ma un suo possibile e ormai insperato ritorno alle gare dipenderebbe anche dalla motivazioni. Intanto l’atleta continua la sua battaglia e resta fiducioso anche alla luce della deposizione del colonnello dei Ris di Parma.

Lo studio di Lago è basato sui dati completi di 37 atleti tesserati della Fidal di specialità di lunghe distanze. Inizialmente erano state raccolte le disponibilità di 60 atleti, poi però – complice il coronavirus – il numero è stato ridotto. Poco meno di un anno fa era stato il giudice Pelino a disporre un supplemento di perizia, spiegando nella sua ordinanza che “l’ipotesi della manipolazione rimane in campo ed è l’unica suffragata da elementi indiziari. Al vaglio degli inquirenti già da un anno ci sono anche le email tra la Federazione internazionale di atletica leggera (Iaaf) e l’Agenzia mondiale antidoping (Wada), recuperate dagli hacker russi di Fancy Bears: nei messaggi tra il responsabile dell’antidoping della Iaaf (oggi World Athletics), Thomas Capdevielle, e il legale della stessa federazione mondiale di atletica, Ross Wenzel, erano state scritte la parola “complotto” e “A.S.”, che sono anche le iniziali dell’ex campione di marcia.

“Il Dna anomalo di quel controllo antidoping dell’1 gennaio 2016, oltre a non essere anonimo, unito alle e-mail dove c’e’ scritta la parola complotto in lingua inglese (‘plot’) credo lasciano ben pochi dubbi sull’intera vicenda”, commenta all’Agi Gerhard Brandstaetter, avvocato di Schwazer. Il controllo antidoping di quattro anni fa era inizialmente stato classificato ‘negativo’ e oltre tre mesi dopo le stesse urine risultarono positive al testosterone che fecero scattare la squalifica per recidiva a otto anni nei confronti del marciatore altoatesino.

La positività rilevata dal laboratorio di Colonia sull’urina di Schwazer era stata motivata dall’accusa con la presenza di testosterone sintetico nel campione. La difesa del marciatore sostiene però che a Stoccarda vi siano state delle gravi interruzioni nella catena di custodia della provetta. Inoltre l’urina di Schwazer è stata inviata al laboratorio di Colonia con l’indicazione Racines, la località in provincia di Bolzano dove è nato Schwazer, che rendeva quindi possibile ricollegare le urine al marciatore altoatesino. L’ipotesi di una manomissione, per la difesa, è dimostrata anche dalla concentrazione anomala di Dna. Nell’ordinanza con cui il gip ha disposto la terza perizia un anno fa veniva inoltre giudicato “plausibile anche se tutto da verificare” il movente di una possibile manipolazione delle urine per “punire” l’atleta e il suo allenatore, Sandro Donati. Entrambi hanno denunciato anche il doping di Stato della Russia e il ruolo del vecchio presidente della Iaaf, Amine Diack.

Proprio Donati, storico paladino della lotta al doping, torna a parlare oggi al termine dell’udienza: “Abbiamo capito che il controllo antidoping pone l’atleta in una condizione di assoluta fragilità. Perché le provette se le portano vie loro e in mano all’atleta non rimane niente? Lo abbiamo capito, o scambiamo questa gente come Dio sceso in terra e li adoriamo come se fossero portatori dell’etica?”. L’allenatore di Schwazer, parlando all’Agi, ha anche ricordato quanto accadde nel febbraio 2018: “4-5 giorni prima che Lago andasse a prendere i campioni di urine al laboratorio di Colonia hanno comunicato di essersi accorti che le provette erano manomissibili e proprio allora lo hanno comunicato alla Wada che ha poi fatto un comunicato alla comunità internazionale. Poi hanno la faccia tosta di dire che la loro catena è inviolabile e perfetta”, ha concluso Donati.

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