La conversione in legge del dl Semplificazioni, approvato anche alla Camera dopo che il governo ha incassato la fiducia al Senato, porta con sé polemiche anche sul fronte delle trivelle. Perché si confermano le novità introdotte con il maxiemendamento, rimasto invariato rispetto a quello passato a Montecitorio, che rappresentano per ambientalisti e non solo l’ennesimo regalo alle compagnie petrolifere. A dispetto del green deal. Arriva infatti un tetto al valore del canone di superficie che un concessionario deve pagare ogni anno. E si introducono norme che disciplinano, tra le altre cose, l’individuazione di aree da destinare allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio e le licenze provvisorie di autorizzazione allo stoccaggio. “Da un lato non si è riusciti a sostenere gli impianti e le fonti rinnovabili, ma dall’altro siamo stati bravissimi ad aiutare, ancora una volta, i signori delle trivelle e delle estrazioni di idrocarburi”, ha commentato la deputata LeU Rossella Muroni già prima del voto finale, prima di uscire dall’aula.

UNA SOGLIA PER I CANONI – Per quanto riguarda l’introduzione della soglia di canoni annui per le concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, l’articolo 62-bis stabilisce che “al fine di garantire la prosecuzione in condizioni di economicità della gestione delle concessioni di coltivazione di idrocarburi, l’ammontare annuo complessivo del canone di superficie dovuto per tutte le concessioni in titolo al singolo concessionario non può superare il 3 per cento della valorizzazione della produzione da esse ottenuta nell’anno precedente”. Francesco Masi, portavoce del Coordinamento Nazionale No Triv, ha definito il testo un “regalo da 3 milioni di euro all’anno di minori canoni alle compagnie Oil&Gas”. A riguardo, va ricordato che il governo Lega-5 Stelle ha sulla carta aumentato di 25 volte il valore dei canoni dovutima quella norma di fatto non è mai entrata in vigore. E, come documentato nel rapporto di LegambienteTutti i sussidi delle trivellazioni, rimangono bassi, se paragonati a quelli degli altri Paesi.

LO STOCCAGGIO DI BIOSSIDO DI CARBONIO – L’articolo 60-bis (Semplificazioni per lo stoccaggio geologico di biossido di carbonio) introduce norme che disciplinano l’individuazione di aree da destinare allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio, le licenze provvisorie di autorizzazione allo stoccaggio, i progetti sperimentali di esplorazione e la possibile stipula di appositi contratti di programma. Intanto c’è il tema della tecnologia in sé. Nel 2016 il Bulletin of Atomic Scientists ha pubblicato una stima secondo cui per contenere il riscaldamento globale a due gradi bisognerebbe aprire un impianto e mezzo di cattura del carbonio al giorno, tutti i giorni, per i prossimi 70 anni. Per Greenpeace “si tratta di un’attività ancora troppo poco sviluppata, poco diffusa e poco affidabile per riservarle un ruolo di primo piano nella compensazione delle emissioni”. Fatta questa premessa, il testo introduce alcune misure con l’obiettivo dichiarato di avere “un quadro normativo per lo stoccaggio, sicuro dal punto di vista ambientale” ed evitare “o almeno contenere, gli effetti negativi ed ogni rischio”.

IL RIUTILIZZO DI GIACIMENTI DI IDROCARBURI ESAURITI – Di fatto, in attesa di individuare aree da dedicare a siti di stoccaggio potranno essere rilasciate licenze di esplorazione e autorizzazioni allo stoccaggio in via provvisoria. “Sono comunque considerati quali siti idonei – si legge nel testo – i giacimenti di idrocarburi esauriti situati nel mare territoriale e nell’ambito della zona economica esclusiva e della piattaforma continentale”. Quelli per i quali il Ministero dello sviluppo economico può autorizzare i titolari delle relative concessioni di coltivazione “a svolgere programmi sperimentali di stoccaggio geologico di CO2”. E i programmi sperimentali che interessano un volume complessivo di stoccaggio geologico di CO2 inferiore a 100mila tonnellate non sono sottoposti a valutazione ambientale. Non solo: i progetti sperimentali di esplorazione possono essere inclusi nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec). Nel passaggio in Senato era stata anche già introdotta la corsia preferenziale con dimezzamento dei tempi per la trattazione dei ricorsi al Tar concernenti la costruzione di nuovi oleodotti e gasdotti.

LE REAZIONI – Il comma 2 dell’articolo prevede, inoltre, la possibilità di definire tramite contratti di programma (da stipulare tra i soggetti proponenti e Mise, Ministero dell’Ambiente e Regioni interessate) “le modalità e i tempi di esecuzione di programmi che comprendono la cattura di flussi di CO2 in impianti esistenti, la realizzazione delle infrastrutture per il trasporto e i successivi stoccaggio, riutilizzo o recupero”. Così 170 tra comitati e associazioni nazionali e locali hanno firmato una nota, esprimendo il loro dissenso. “Sugli stoccaggi si delinea il grande affare del futuro – hanno scritto – presto dovremo pagare profumatamente il servizio di smaltimento della CO2 proprio a chi ci sta portando sull’orlo del baratro della crisi climatica, visto che i giacimenti sono sotto concessione dei petrolieri che si accaparreranno anche il servizio di stoccaggio della CO2 in regime di monopolio”. Senza considerare che lo stoccaggio di anidride carbonica è parte importante nel grande affare della produzione di idrogeno blu. I No Triv sottolineano come si consenta alle compagnie di avviare progetti di stoccaggio della CO2 “in alcuni casi anche senza Via ed escludendo l’Intesa con le Regioni per i progetti che interessano gli stoccaggi in mare” in giacimenti di idrocarburi esauriti evitando così i costi di ripristino ambientale. Lo stoccaggio, per assurdo, potrebbe avvenire anche in pozzi esauriti “situati sopra sorgenti sismiche naturali per i quali ad oggi è assente qualsiasi valutazione di rischio”, commenta Ezio Corradi, del Coordinamento No Triv.

IL PROGETTO DI ENI – Che ricorda, a riguardo, gli interessi di Eni che progetta di realizzare nell’Alto Adriatico, al largo delle coste ravennati, il centro di cattura e stoccaggio (Ccs) di anidride carbonica più grande del mondo, con una capacità fino a 300-500 milioni di tonnellate di accumulo. Si sfrutterebbero i giacimenti esauriti che oggi stoccano 14 milioni di gas naturale. Eni vuole ampliare la capacità di stoccaggio per poter soddisfare le esigenze dell’intero bacino del Mediterraneo.

Insomma in Italia si continua a investire e puntare sul gas. A ricordarlo è Enrico Gagliano, cofondatore del movimento: “In agosto i nostri consumi di gas hanno fatto registrare un +2% rispetto allo stesso mese del 2019 e un +3,9% sulla media del decennio 2010-19”. Per Gagliano, il governo dovrebbe tenere in maggior conto le indicazioni dell’Ispra che “pur nel prevedere una flessione del 7,5% delle emissioni di CO2 rispetto allo scorso anno” ricorda come la riduzione del 2020 non contribuisca alla soluzione del problema dei cambiamenti climatici “che necessita invece di modifiche strutturali, tecnologiche e comportamentali che riducano al minimo le emissioni di gas serra nel medio e lungo periodo”.

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