È particolarmente triste la notizia di qualche giorno fa del ristoratore fiorentino che si è suicidato per via dei debiti accumulati durante l’epidemia. Si tratta di un danno collaterale del coronavirus che ha messo in difficoltà tantissime imprese di tutti i tipi. Purtroppo, non è il primo caso del genere e sicuramente ce ne saranno altri.

Ma che danni ci ha fatto esattamente il crollo delle attività economiche dovuto all’epidemia? Secondo gli ultimi dati apparsi su Reuters, al secondo trimestre dell’anno l’Italia subisce una perdita del 12,4% del prodotto interno lordo (Pil). Volendo possiamo consolarci pensando che abbiamo fatto meglio di altri paesi Europei: la Spagna ha perso più del 18%, la Gran Bretagna addirittura più del 20%. Ma purtroppo abbiamo fatto peggio della Germania (-10%) e della Svezia (-8,4%).

Comunque la si voglia vedere è un bel disastro. Tradotto in soldoni, vuol dire una perdita di circa 4mila euro per ogni italiano, qualcosa come 16mila euro per una famiglia di quattro persone. Ovviamente, non è necessariamente una perdita di reddito. Ma è una perdita di tante cose: servizi, assistenza, infrastrutture e altro.

E, come tutti sappiamo, le medie sono spesso fuorvianti. Una perdita del 12% sarebbe sopportabile se fosse spalmata equamente fra tutti ma c’è chi non ha avuto gran danno dalla contrazione del Pil, mentre c’è chi ha perso (o perderà) il lavoro, la casa, o i risparmi – o anche tutte queste cose insieme. E c’è chi muore di stress e preoccupazioni, come appunto il caso del ristoratore fiorentino di cui parlavamo all’inizio.

Purtroppo, il governo (ma anche le opposizioni) continua a ragionare secondo modelli economici obsoleti basati sull’idea di “far ripartire la crescita”. Basti pensare che hanno avuto il coraggio di ritirar fuori la storia del ponte sullo stretto di Messina! (o tunnel che sia). Ma non abbiamo più le risorse per queste opere ciclopiche.

Il problema è che l’Italia è un paese importatore di materie prime e di prodotti alimentari che paga esportando i suoi prodotti e con gli incassi dal turismo internazionale. Finora, la nostra bilancia dei pagamenti è stata più o meno in pareggio, ma con il crollo del turismo internazionale abbiamo perso una bella fetta di introiti.

E con il crollo del mercato a livello mondiale, anche le nostre esportazioni sono in difficoltà. Per un momento, era sembrato che il prezzo del petrolio fosse sceso così in basso che ti pagavano per portartelo via, ma una regola generale della vita è che nessuno ti regala niente. Ora i prezzi del petrolio sono di nuovo ai livelli di prima dell’epidemia.

E qui siamo nei guai: con cosa paghiamo le nostre importazioni se i turisti sono spariti e le esportazioni sono in calo? Non certamente con i pedaggi del ponte sullo stretto. Il paese non può reggere più di tanto uno shock economico come quello che ci sta cadendo addosso. Questo vuol dire che la priorità deve essere ridurre la dipendenza dalle importazioni di materie prime e combustibili fossili per cercare di rimettere in pari la bilancia dei pagamenti.

Si può fare? Si. È un’idea che girava ben prima del coronavirus e che si chiama “economia circolare.” Se volete capire come funziona, vi consiglio un bel libro aggiornato di Patti L’Abbate (Una Nuova Economia Ecologica, Edizioni Ambiente 2020). In breve, l’economia circolare vuol dire riusare e riciclare i prodotti dell’economia, essere più efficienti, produrre energia rinnovabile, e evitare gli sprechi. Questo aiuta a pareggiare la bilancia dei pagamenti, crea posti di lavoro, riduce l’inquinamento e molte altre cose buone. È la miglior speranza che abbiamo di creare fiducia e far ripartire il paese. E allora, lavoriamoci sopra!

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