Cinque deputati (più 2mila politici locali e un esercito di professionisti) han chiesto il bonus da 600-1000 euro per partite Iva in difficoltà, pur guadagnando 13-14 mila euro netti al mese. Noi pensiamo che le regole della privacy non valgano per gli eletti: i cittadini elettori hanno il diritto di conoscerne i nomi e le spiegazioni, per decidere se rivotarli o mandarli a casa. Perciò il Fatto ha inviato una richiesta di accesso agli atti all’Inps, sostenuta da una petizione fra i lettori sul sito, pronto anche a ricorrere al Tar.

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Ora, quel bonus era una misura di pronto soccorso per tutte le partite Iva impoverite dal lockdown e, per raggiungerne il maggior numero nel minor tempo possibile, doveva essere per tutti: altrimenti, a furia di carte bollate e controlli, avrebbe mancato lo scopo. Com’è accaduto per la Cig straordinaria, che ha le sue regole pluridecennali e infatti non è ancora arrivata a tutti; e per la nuova norma sui prestiti bancari garantiti dallo Stato che, provenendo da istituti privati, richiedono un’istruttoria minima su solvibilità, bilanci, garanzie, con tempi spesso lunghi. La logica del bonus Iva è “l’helicopter money” di Milton Friedman che, per raggiungere tanta gente, non va troppo per il sottile. Ci si affida al buon senso, al buon cuore e al buon gusto dei cittadini. Poi, a posteriori, si controlla. E, se qualcuno fa il furbo, è colpa sua, non del governo o dell’Inps: un deputato con partita Iva che prende 13-14 mila euro al mese il bonus non deve proprio chiederlo, anche se il decreto non glielo vieta.

I partiti dovrebbero chiedere, come sta facendo il Movimento 5Stelle, a tutti i loro eletti una rinuncia alla privacy da consegnare all’Inps per sapere chi ha ottenuto il bonus; e magari anche le dimissioni in bianco, per mandare a casa gli accattoni. Se non lo faranno, provvederemo noi a ottenere le informazioni a cui tutti i cittadini hanno diritto. Anzi, non tutti: solo quelli che non hanno fatto i furbi. Perché, oltre ai politici nazionali e locali, nelle stesse condizioni ci sono migliaia fra imprenditori, notai, avvocati, professionisti con conti in banca milionari che hanno pensato bene di arraffare pure i 600 e poi i 1000 euro con la scusa del Covid. Anch’essi non hanno violato alcuna norma, a parte quelle dell’etica e della decenza. È grazie a gente come loro (e sono milioni) che in Italia ogni misura di Welfare diventa una potenziale truffa, ogni bonus un malus: evasori fiscali e contributivi, prenditori che mandano i dipendenti in cassa e li fanno lavorare lo stesso, schiavisti del lavoro nero, falsi invalidi, finti disoccupati. Anziché farsi lapidare con ridicole scuse scajoliane (“è stato un disguido”, “è una vendetta di mia moglie da cui mi sto separando”, “è stato il il commercialista che ha chiesto il bonus a mia insaputa”), i cinque onorevoli furbastri potrebbero dire così: “Siamo rappresentanti del popolo e il nostro popolo ruba come noi”. Verrebbero lapidati lo stesso, ma per aver detto la verità.


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