Nella corsa renziana a strumentalizzare al meglio la propria rendita di posizione parlamentare e – nel frattempo – piazzare trappole lungo il cammino del governo per fungere da co-levatore (insieme a un po’ di “rieccoli” alla Berlusconi e gran parte della stampa nazionale, ossessionata dal mantenimento del proprio ruolo di eminenza grigia del potere), spicca l’insistenza con cui viene promossa a ukase la nomina a presidente della commissione Trasporti della Camera di Lella “te spiezzo in due” Paita; sgomitante proconsole ligure del Capo. Ma chi è davvero siffatta signora?

Di lei si potrebbe dire quello che lo storico anglo-americano Tony Judt scrisse di Paris Hilton: “Nel senso in cui Paris Hilton è famosa per… essere famosa”.

Per quanto riguarda il suo curriculum, si sa che all’Università non c’è mai andata, visto che la sua vera formazione avviene nel Partito Comunista della Spezia, all’età di 14 anni. Semmai vantava l’iscrizione all’ordine dei giornalisti, sbandierando un ruolo di addetto stampa nel Comune della sua città, che il sindaco di allora – Giorgio Pagano – espressamente interpellato nega di averle mai attribuito.

Intanto la resistibile ascesa proseguiva, prima in terra spezzina poi a livello ligure, sempre coltivando utili relazioni personali. Consigliera regionale e poi assessora, si segnalava per la spregiudicatezza con cui recepiva la lezione da Terza Via fuori tempo massimo (strizzare l’occhio a capitalisti e speculatori sperando di mantenere il consenso “captive” del vecchio elettorato di sinistra).

Ad esempio, assessore alla Protezione Civile nel territorio devastato dalle alluvioni, si faceva promotrice del Regolamento n°3 del 14 luglio 2011 secondo cui “all’interno dei perimetri urbani si autorizzava edificazioni a 3/5 metri dai corsi d’acqua”. Proposta pro-speculazione edilizia, tra le tante dello stesso tenore (vedi la svendita della sanità) che concorsero alla sconfitta della sinistra nelle elezioni successive, con relativa elezione di Giovanni Toti (il quale, probabilmente giudicando imbarazzante l’assunto paitiano, appena eletto arretrò a 10 metri la disposizione del 2011).

Infatti la nostra era reduce dall’essersi candidata alla presidenza della Regione “asfaltando” un Sergio Cofferati venuto a svernare in Liguria (dopo aver illuso milioni di followers che gli attribuivano il disegno di fondare una sinistra-sinistra e poi aver lasciato tracce non encomiabili come sindaco/sceriffo a Bologna) sciorinando tutto un campionario di battute renziano-pop, del tipo “una Liguria Rock”; chiaro riferimento alla lezione intellettuale di chi si era definito “il re degli ignoranti”: Adriano Celentano.

Andata come andata, Paita proseguiva la sua resistibile ascesa alla corte del signore di Rignano, confermandosi una fedele guardaspalla. Tanto da servirgli su un piatto d’argento il replay della “Operazione Scalfarotto”: boicottare la richiesta avanzata da Giuseppe Conte di liste alle elezioni regionali che riproponessero il perimetro del governo nazionale. Insomma, una Liguria formato Puglia, prendendo in ostaggio il candidato concorrente di Ferruccio Sansa, in un contesto locale stravolto dalla degenerazione ultraventennale di una fauna di partito che ormai considera la politica niente di più che una miserevole fiera delle vanità.

In questo contesto Raffaella Paita risulta la più perfetta icona della transizione del suo tipo sociale nell’area della neo borghesia, trasformandosi in quella corporazione indifferenziata che qualcuno definì Casta. In generale il ceto cafone avido e smemorato, che nel suo coté più vanitoso ed esibizionista presenta il volto dei parvenu arciconvinti di rappresentare un modello estetico alla Billionaire; in quello più minaccioso ha il profilo bullesco di un leghista senza mascherina.

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