Le parole d’ordine nei prossimi mesi dovranno essere intelligenza, pensiero, azione, collettività. Affinché nessuno resti indietro a causa della crisi Covid. La vittoria dell’Ue, che forse per la prima volta dimostra di decidere davvero con metodi democratici e solidali, è un passaggio storico.

Forse può essere il primo passo verso l’Unione politica. E un lavoro straordinario in tal senso è stato portato avanti dal presidente Giuseppe Conte e dai membri del governo che in questo modo hanno saldato le prospettive della maggioranza politica e del Paese all’Europa.

La linea di credito dei 209 miliardi di euro è strettamente legata ai programmi di spese per investimenti produttivi in funzione di riforme che il Paese attende da troppi anni. Se dovessimo perdere quest’ultimo treno, la situazione sarebbe pressoché irrecuperabile. Con buona pace della retorica sulle nuove generazioni. Il Presidente Sergio Mattarella ha auspicato un programma serio!

E qui viene il bello: la nostra classe dirigente, soprattutto al Sud, sarà all’altezza del compito? Sarà in grado di resistere alla corrente della corruzione, dello sperpero, dello sguardo miope? Insomma, l’attuale classe dirigente dovrà operare in maniera diversa rispetto a come fatto finora. Senza alimentare sacche di clientelismo. Spiace constatare che le premesse per un lavoro alto non ci sono per niente, nella misura in cui la prossima tornata delle amministrative e delle regionali disegnerà la geografia dei prossimi 5 anni.

In Campania la crisi Covid ha scongelato i dinosauri, in odore di finanziamenti. Alimentando il peggior trasformismo: dove c’è questo si nasconde l’essere cinico dell’uomo che di politico non ha nulla, se non il fatto di essere mosso da interessi personali. I partiti, o presunti tali, hanno il dovere di richiamare alla correttezza, all’uso dei toni consono alla situazione che viviamo.

Mi aspetterei che il Partito Democratico, poiché si trova al governo e ha una responsabilità duplice nell’indicare la prospettiva dei prossimi anni, richiami la classe dirigente sul territorio e usi il pugno duro rispetto a fenomeni discutibili. I trasformismi spudorati in atto nella composizione delle liste civiche, la convenienza di molti nel salire sul carro di Vincenzo De Luca, oggi dato come vincente ma fino a pochi mesi fa spacciato, e il Pd che resta in silenzio sono campanelli di allarme che non ci predispongono positivamente rispetto al lavoro di investimenti cospicui di cui all’inizio.

Un centrosinistra annacquato, in cui il partito più grande subisce i diktat di un modo di far politica deleterio del candidato presidente, rischia di far danni. Perché ognuno chiederà la propria contropartita per essere passato da questa parte del campo, perdendo di vista il bene comune. Un grande partito, rispetto a talune questioni di forte attualità, deve pretendere assunzioni di responsabilità, chiarezza, voglia di sgombrare il campo dal più piccolo sospetto. Un grande partito richiama la propria classe dirigente alla discussione, al partorire un’idea in vista dei tempi nuovi.

Tutto ciò passa per un modo di far politica attento ai territori e animato da metodi partecipativi, liberando competenze, energie, capacità in modo da canalizzarlo all’interno dei processi decisionali. Un grande partito imporrebbe al suo candidato presidente un codice comportamentale tale da evitare affondi quotidiani da politica da cabaret, perché il momento delle dirette Facebook degli attacchi al governo è finito.

Un grande partito richiamerebbe il suo candidato presidente rispetto alle critiche velate rivolte al segretario nazionale Nicola Zingaretti, non ultimo l’affondo di ieri sul Nord dove si è persa un’ottima occasione per tacere.

Per queste e tante altre ragioni, è opportuno cambiar passo: l’opportunità che arriva dall’Europa non può trovare terreno fertile se non si mette un punto fermo rispetto ad un modo personalistico di far politica e di gestione nel Mezzogiorno.

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