“Sono stato… alluvionato, sommerso da centinaia di attestazioni positive e di affetto, da parte di conoscenti, colleghi, gente comune che mi pregavano di restare al mio posto. E così, anche in nome dei doveri che impone una funzione pubblica, posso dire che la mia riflessione si è conclusa. E che è rientrata l’ipotesi di dimissioni”. Il professore Andrea Crisanti rivela a Ilfattoquotidiano.it che non lascerà il Comitato tecnico-scientifico nominato dalla giunta regionale veneta per far fronte all’emergenza coronavirus. Il che non significa che si sia tornati all’idillio con il governatore Luca Zaia.

La vicenda poteva essere inserita nella serie “si erano tanto amati”. Almeno per convenienza o per utilità pubblica, ai tempi in cui il coronavirus infuriava, le terapie intensive si riempivano e Zaia citava gli algoritmi per spiegare che nel giro di poche settimane il Veneto rischiava 2,5 milioni di infetti. Allora il professore Crisanti, direttore di Microbiologia all’università di Padova e consulente della procura di Bergamo nell’inchiesta sulla diffusione del Covid ad Alzano e Nembro, era diventato una certezza, in quanto uomo dei tamponi che avrebbero salvato la situazione e a cui lo stesso governatore leghista si aggrappava per dimostrare la bontà delle intuizioni del “modello Veneto”, proprio mentre quello lombardo lottava contro numerosi in impietosa crescita. Poi qualcosa si è rotto tra il direttore del laboratorio di Microbiologia di Padova e il presidente leghista, lanciato in una campagna elettorale profondamente influenzata dall’effetto-Covid, che ha fatto di Zaia un punto di riferimento quotidiano con le conferenze stampa trasmesse in diretta Facebook per oltre quattro mesi.

Le competenze scientifiche e la politica: è in questo cocktail che vanno cercate le ragioni del progressivo isolamento di Crisanti. I boatos degli ultimi giorni riguardavano l’imminente decisione del professore di lasciare il Comitato tecnico scientifico istituito il 2 marzo dalla giunta e coordinato dal direttore sanitario di Azienda Zero, Mario Saia. Il virologo, che è arrivato all’Università di Padova dall’Imperial College di Londra, in questi giorni aveva dichiarato: “In Veneto ci sono sempre più casi e le mie posizioni sono molto distanti da quelle dei consiglieri di Zaia, secondo cui invece il virus è morto. Sulla mia permanenza non ho ancora preso una decisione e non so neppure se ci sarà un incontro nelle prossime ore, anche perché con loro non c’è più dialogo. Ma se il mio contributo non produce nessun impatto, che ci resto a fare?”. Crisanti si è sentito messo da parte quando non sarebbe stato consultato prima della comunicazione della fine del contagio in Veneto o sull’acquisto di test rapidi coreani da parte della Regione. Poi però ha registrato l’affetto e la stima di tante persone e ha deciso di rimanere.

Il punto di svolta che aveva indotto la freddezza istituzionale verso l’ispiratore della pratica dei tamponi a tappeto risale a maggio, quando Crisanti cominciò a dichiarare che la Regione Veneto voleva “riscrivere la storia”, attribuendosi il merito della campagna che aveva promosso, mentre “il loro piano sanitario era una baggianata”. Per alcuni giorni uno scambio velenoso di accuse. Poi Zaia aveva deciso di schierare sul campo tutte le sue forze, cominciando a parlare di un “magic team”, una squadra magica, a proposito della struttura sanitaria veneta. Altro che intuizione vincente di Crisanti, il sottotesto del leghista. Il professore doveva stare al suo posto, perché i veri fautori del successo erano altri. Ed ecco che alle conferenze stampa il governatore aveva cominciato a convocare infettivologi, medici, rianimatori.

A fine maggio Arturo Lorenzoni, docente universitario e candidato del centrosinistra alle prossime elezioni regionali, rispondendo a una domanda durante un’intervista televisiva, aveva detto: “Se Crisanti si candida governatore gli lascio spazio”. Era una battuta, ma era bastata per scatenare la reazione di Zaia: troppa visibilità per un medico, di fronte al governatore predestinato alla terza rielezione. Da allora Crisanti è diventato, per il centrosinistra, ma anche per i Cinquestelle, la dimostrazione che il “modello Veneto” non è targato Lega. Non a caso Lorenzoni ha rilanciato alcuni giorni fa: “Facciamo Crisanti commissario all’emergenza Covid”. Ed Enrico Cappelletti, candidato Cinquestelle: “Zaia ha commesso il grande sbaglio di allontanare Crisanti per affidarsi a chi dice che il virus è morto solo per fini elettorali”.

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