Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Cecoslovacchia. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli divisa. Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)

Quando nel 1990 si gioca il Mondiale in Italia, Gianni Minà ha già più di trent’anni di carriera alle spalle. È un giornalista di successo e un volto televisivo conosciuto. Viene da un decennio ricco di soddisfazioni, per tre anni ha condotto Blitz alla domenica pomeriggio su Rai2 e nel 1987 ha intervistato per sedici ore consecutive il leader cubano Fidel Castro. In Storia di un boxeur latino, autobiografia firmata con Fabio Stassi e uscita recentemente per Minimum Fax, ha ripercorso tutta la sua vita. Dopo aver iniziato a collaborare giovanissimo con Tuttosport, nel 1960 segue le Olimpiadi di Roma, durante le quali riesce a intervistare il maratoneta cecoslovacco, campione olimpico, Emil Zatopek. Nel 1976 registra la mitologica trasmissione Un’ora con a casa di Nereo Rocco, presente anche Gianni Brera. Impressionante il numero di bottiglie vuote a fine puntata, considerando il fatto che Minà è da sempre astemio. Due anni prima aveva seguito il match del secolo tra Ali e Foreman a Kinshasa nel Congo belga, mangiando per quattro giorni pane e formaggini portati da casa. L’amicizia con Ali, conosciuto nel 1960 a Roma, e poi successivamente intervistato molte volte in esclusiva, è un capitolo fondamentale della sua avventura.
In queste settimane ricorre l’anniversario di Italia 90.

Torniamo indietro di trent’anni.
Sì, il Mondiale italiano fu un crocevia di campioni leggendari, con un’organizzazione di tutto rispetto.

Durante il mese di Italia 90 ha condotto per la Rai il programma Io e il Mondiale. Ma televisivamente il meglio lo aveva dato nei sei mesi precedenti raccontando di sabato pomeriggio le 24 finaliste.
Il mio programma si intitolava Un mondo nel pallone e se parliamo di ospiti ti voglio dire che il più famoso cantautore di lingua spagnola, il catalano Joan Manuel Serrat è stato da me due volte. Era un patito di calcio, ultratifoso del Barcellona. In una di quelle due puntate sulla Spagna ho avuto, tra gli altri, anche l’argentino Alfredo Di Stefano, reputato il più grande calciatore della storia del Real Madrid che per motivi politici aveva scelto di naturalizzarsi spagnolo.

Rimaniamo in Argentina. Ad Italia 90 c’era anche il grande scrittore Osvaldo Soriano, inviato per il Manifesto, ed ovviamente Diego Maradona, capitano della Nazionale argentina.
Soriano avrebbe fatto anche il raccattapalle pur di vedere da vicino la mia Argentina. Ma non era strano trovare l’autore di Triste, solitario y final inviato per un giornale, se si conosceva solo un po’ la passione che quel grande scrittore aveva per il gioco del calcio.

E Maradona?
Quello fu il Mondiale della rivincita morale di Diego, anche se in finale con la Germania perse per un’invenzione dell’arbitro messicano Codesal, genero, secondo gli argentini, di un dirigente FIFA. Diego aveva fatto un patto proprio con me sul pronostico della partita contro l’Italia, che consisteva in un’intervista esclusiva in caso di vittoria albiceleste.

Il patto venne rispettato?
Quella con Diego era una scommessa seria. Ricordo che al fischio finale io mi precipitai verso gli spogliatoi dello stadio di Fuorigrotta per paura che Maradona non arrivasse per il nostro appuntamento e invece quando arrivai davanti agli spogliatoi, trovai Diego che, silenzioso e ancora in pantaloncini e maglietta, mi aspettava rifiutando tutte le richieste degli altri, italiani e stranieri, per tenere fede alla parola che mi aveva dato.

Si è molto discusso, anche in questi giorni, sulla questione del tifo nella semifinale di Napoli. Secondo te quale era la percentuale di tifo per l’Argentina?
Perlomeno un 40%.

E lei per chi ha tifato?
Ho tifato per metà.

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Italia 90, 30 anni dopo – Azzurri eliminati, il racconto: “Io, napoletano, ho tifato Maradona, non per l’Argentina né contro l’Italia”

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