Quell’immagine romana del 10 giugno 1940, con una Piazza Venezia stipata di folla, appartiene a uno dei nostri più indelebili ricordi scolastici ed è un punto di svolta della nostra storia nazionale. Benito Mussolini è impettito sul balcone della piazza, indossa l’uniforme di caporale d’onore della Milizia, e annuncia l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazista. La folla esplode in un boato di approvazione rovesciando una selva di fischi quando sono nominate Gran Bretagna e Francia, ma poi tutti tornano a casa in silenzio.

La registrazione filmata di questo momento sembra restituire l’immagine di un popolo unito attorno alla sua guida. La parabola del consenso popolare attorno al fascismo è però incanalata su una china discendente. Lo stesso apparato di propaganda suscita diffidenze. Una relazione fiduciaria del 1939 segnala che “la gente ritiene di essere tenuta all’oscuro di tutto.” Anche l’annessione dell’Albania, conclusa in due giorni nell’aprile 1939, era stata accolta con freddezza. Lo stesso ministro degli Esteri e genero di Mussolini, Galeazzo Ciano, annota – nell’ottobre 1939 – che fra la popolazione si avverte un clima di stanchezza e di disincanto generale.

I venti di guerra che soffiano già dal 1938 preoccupano la popolazione. Una volta scongiurata l’esplosione del conflitto, con gli accordi di Monaco dopo l’annessione nazista dei Sudeti sottratti alla Cecoslovacchia, gli italiani tirano un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, un sentimento che irrita Mussolini, per il quale il conflitto deve “ritemprare la razza”.

Un mese prima dell’invasione della Polonia, nell’agosto 1939, i parroci invitano i fedeli a pregare affinché il papa riesca a mantenere la pace. Non sono che segnali, fra i tanti, della stanchezza verso il regime e verso la sua propaganda bellicista. I fautori del conflitto – in quel giugno 1940 – sono un’esigua minoranza, con frange più numerose a Roma che non nelle città operaie di Milano e Torino.

La guerra che esplode è scarsamente sentita. Per la prima volta nella storia d’Italia scarseggiano i volontari, un fenomeno che aveva invece caratterizzato le guerre d’Indipendenza e la Prima guerra mondiale. Per di più, l’Italia si avvia al conflitto conscia della sua impreparazione militare. Il re Vittorio Emanuele III, dopo varie ispezioni, arriva a definire “pietosa” la condizione dell’apparato bellico. Come conseguenza di questa condizione, la corona e i capi militari spingono Mussolini a non impegnarsi nel conflitto.

Il Patto d’Acciaio, stipulato nel maggio 1939 tra Italia e Germania, ritiene inevitabile la guerra con Francia e Gran Bretagna, prevedendo che il conflitto possa esplodere nel 1942, anno nel quale Mussolini stima completata la preparazione militare. Come noto, la Germania anticipa i tempi, senza consultare l’alleato italiano, e invade la Polonia nel settembre 1939. Scoppia la Seconda guerra mondiale.

L’Italia non è in grado di intervenire ed escogita la condizione di “non belligeranza”, per non dichiararsi neutrale. A maggio del 1940 sono sotto il giogo nazista: Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Lussemburgo e nei primi giorni di giugno la Francia è ormai piegata. Mussolini capisce che non può più attendere e la decisione di entrare in guerra matura probabilmente già il 28 maggio. Di fronte al comandante militare supremo, Pietro Badoglio, che continua a sollevare riserve sull’intervento, Mussolini pronuncia la nota frase: “Ho bisogno solo di alcune migliaia di morti per sedere alla tavola della pace come belligerante”.

Il calcolo del capo del fascismo non è di natura militare, ma politica stimando che la guerra si sarebbe conclusa nel giro di qualche mese. Una decisione che ignora l’intima natura del disegno nazista non disposto a concepire un’Europa a due aree di influenza (la continentale alla Germania e la mediterranea sotto il fascismo). L’Italia è un alleato troppo debole, economicamente e militarmente, per ambire a questo ruolo.

La Germania non ha mai voluto condividere decisioni strategiche con l’Italia, non ci sarà un comando unificato come invece realizzeranno le forze alleate. Al salto nel buio legato all’impreparazione militare, si abbina un calcolo che non ha alcun presupposto di verificarsi. Già nell’aprile 1941 è evidente che il conflitto sarà lungo e che l’Italia, la sua autonoma guerra parallela, l’ha già irrimediabilmente persa.

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