La fase 2? Per la Fondazione Gimbe il rischio non è calcolabile e la ripartenza “soffre” di una “giravolta normativa senza precedenti”. “L’emergenza coronavirus – dice il presidente Nino Cartabellotta – e soprattutto la gestione della fase 2 hanno accentuato il cortocircuito di competenze tra Governo e Regioni in tema di tutela della salute, oltre che la ‘competizione’ tra Regioni su tempi e regole per la riapertura. Questo decentramento decisionale dimostra che, sulla tutela della salute, dalla leale collaborazione Stato-Regioni siamo passati ad una “ritirata” del Governo al fine di prevenire conflitti con le Regioni”.

In questo modo è stata “demandata interamente alle Regioni la responsabilità del monitoraggio epidemiologico e delle conseguenti azioni, con il ministero della Salute che rimane spettatore passivo da informare sui dati e sulle eventuali azioni intraprese dai governatori”. Un approccio che, per Gimbe, rivela “incongruenze costituzionali, oltre che rischi non calcolabili”. Costituzione alla mano (articoli 117 e 120) il governo avrebbe esercitare “un potere sostitutivo a garanzie dell’interesse nazionale”. Ma non solo, per Gimbe, “la decisione di affidare alle Regioni una totale autonomia sul monitoraggio dell’epidemia e sulle conseguenti azioni da intraprendere avviene in un contesto molto incerto e poco rassicurante”. Questo perché gli enti, come dimostra il primo report, gli enti non hanno fornito a livello centrale tutti i 21 indicatori previsti dal decreto del ministero della Salute del 30 aprile scorso. E poi “l’impatto sulla curva dei contagi di qualsiasi intervento di allentamento del lockdown può essere misurato solo 14 giorni dopo il suo avvio: in altri termini, le conseguenze delle riaperture del 4 maggio possono essere valutate solo a partire dal 18 maggio e quelle del 18 maggio lo saranno non prima del 1° giugno. Dal 3 giugno, data in cui inizieremo a intravedere le conseguenze sulla curva epidemica delle riaperture del 18 maggio, il via libera alla mobilità interregionale e alla riapertura delle frontiere sancirà la libera circolazione su tutto il territorio nazionale anche dei soggetti contagiati”.

Gimbe critica anche la gestione sanitaria della fase 2. “A fronte di linee guida elaborate da Governo e Regioni per la riapertura delle attività produttive e sociali, non esiste una strategia sanitaria nazionale ma solo variabili orientamenti regionali variabili per bilanciare tutela della salute e rilancio dell’economia” e infatti ogni regione ha “una propensione molto diversificata ad effettuare tamponi diagnostici”, e poi “l’indagine siero-epidemiologica nazionale è partita in grande ritardo e non sappiamo quando saranno disponibili i risultati; le Regioni peraltro hanno adottato protocolli propri utilizzando test differenti. Le modalità organizzative per la gestione territoriale dei casi positivi – Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA), isolamento domiciliare in strutture dedicate, prescrivibilità dei tamponi da parte dei medici di famiglia, etc.), sono caratterizzate da immancabili diseguaglianze regionali”. Gli indicatori più affidabili per monitorare l’eventuale risalita della curva epidemica non possono che essere i ricoveri ospedalieri e l’occupazione delle terapie intensive, dati al tempo stesso tempestivi e affidabili in quanto raccolti dai flussi ospedalieri. “È evidente che le decisioni sulle riaperture – conclude Cartabellotta – hanno anteposto gli interessi economici del Paese alla tutela della salute. Tuttavia la dichiarazione del premier Conte secondo cui si tratta di un rischio calcolato è smentita dall’impossibilità stessa di calcolarlo, perché la gestione e il monitoraggio dell’epidemia sono affidati a 21 diversi sistemi sanitari che decideranno in totale autonomia ampliamenti e restrizioni delle misure in base ad una situazione epidemiologica autocertificata. La storia insegna che non è sano quando controllore e controllato coincidono”.

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