Ho riflettuto a lungo prima di scrivere queste righe doverose.

Il genocidio continua, né più né meno, come dagli ultimi cinquecento anni. I nostri fratelli delle tribù indigene potrebbero essere in ulteriore difficoltà per l’arrivo del Covid in Brasile, che sta colpendo questo paese più duramente di altri. In particolare, chissà per quali ragioni il fenomeno si presenta, come anche è accaduto in Italia, a macchia di leopardo e sono particolarmente interessate le città di Rio de Janeiro e Manaus, capitale dell’Amazzonia.

Dico che “potrebbero” esserlo per la semplice ragione che la devastazione della foresta e delle terre indigene non ha mai subito battute di arresto, né adesso né prima.

La situazione dell’Amazzonia si aggrava sempre di più a causa del palese disinteresse del governo di salvaguardare i diritti indigeni e l’ambiente. Sembra che non capiscano nemmeno di cosa stiamo parlando. L’apoteosi dell’incomprensione tipicamente capitalista del fatto che ci stiamo misurando con una produzione e un consumo selvaggi e infiniti in un pianeta con risorse finite. E, per l’appunto, non si tratta di una proiezione di una Ong, di un Ente governativo, di un’agenzia Onu, ma di un fatto incontestabile, concreto e imminente.

Nessuno sa cosa fare, poiché in Brasile ci sono solo gruppi culturali e spirituali a sostenere gli indios, contro lo strapotere di fazenderos (proprietari terrieri), garimpeiros (cercatori di minerali), madereiros (cercatori di legname), polizia, governi corrotti, multinazionali interessate soprattutto a impiantare idroelettriche inquinanti e che devastano interi bacini acquiferi.

Mentre all’estero i vari Stati sono già strapresi nell’amministrazione di una serie di situazioni complesse e l’emergenza sanitaria distrae da qualsiasi cosa, balzata da mesi sulle prime pagine di qualsiasi media.

Dell’Onu nemmeno a parlarne, visto che non ha certo vero potere per ingerire in questioni riguardanti uno Stato delle dimensioni come quelle del Brasile. Che poi il presidente in carica butti tutto in “pìada” (barzelletta in slang brasiliano) di certo non aiuta, ma a mio modesto parere si tratta semplicemente del becero palesarsi di una situazione che prima, nei confronti degli indigeni, non era poi così diversa. Il problema dei diritti, della demarcazione delle terre, della salvaguardia è sempre stato in essere, ormai da secoli. Nel ‘900 gli indios dell’Amazzonia erano sfruttati come schiavi per l’estrazione del caucciù, commercio poi caduto in disuso. Erano chiamati seringueiros, poiché utilizzavano speciali siringhe per l’estrazione.

Nei secoli precedenti venivano sterminati e torturati senza tanti complimenti. Allora non si chiamava “violazione dei diritti” bensì colonialismo, e ancora prima conquista. Io più che conquista, anche alla luce della recente storia del mondo occidentale, la chiamerei avanzata dell’inferno.

L’arrivo di questo virus, al di là degli aspetti pandemici, è rivelatoria di una cancrena di secoli. Questo mondo fatica a respirare da secoli, non da tre mesi.

La politica dell’uomo bianco, occidentale, consumistico o razionale, chiamatelo come volete, è semplicemente la stessa di un qualsiasi tumore maligno. Si riproduce a dismisura a scapito dell’organismo che lo ospita, fino ad arrivare ad annientare completamente anche se stesso.

Sciamani Huni Kuin di Acre/Amazzonia (© Lidia Urani)

Dal mio umile, ma convinto punto di vista, non esistono proprio soluzioni tecniche a un simile scempio. Esistono, io credo, possibili soluzioni di carattere paradigmatico. Ovvero il cambiamento totale di diversi punti di riferimento. Cambiamento che non può partire che da uno sviluppo e una espansione di ogni coscienza individuale. Una rivoluzione coscienziale individuale e poi collettiva che stravolga totalmente i paradigmi attuali di consumo, finanza, scienza razionale, violenza, potere, militarizzazione, competizione. In favore di cooperazione, armonia, condivisione, risparmio, celebrazione, valorizzazione, amore.

E ovviamente in questo processo le popolazioni indigene non è che hanno diritti alla terra e alla salvaguardia, semplicemente sono necessarie, imprescindibili, strategiche. Hanno una conoscenza del mondo naturale concreto e di quello invisibile che vanta decine di millenni.

La cooperazione è la strada. Tecnologie occidentali d’avanguardia in cooperazione con tecnologie naturali e spirituali indigene.

Un nuovo mondo si va delineando all’orizzonte. In Brasile numerosi gruppi di ricercatori spirituali e culturali stanno valorizzando la cultura indigena. Nonostante tutto resta parecchio. Ci sono gruppi portatori di una antichissima cultura sciamanica ancora fiorente. Si registrano per esempio matrimoni misti e stanno sorgendo qua e là comunità miste, talvolta con elementi provenienti da ogni angolo del mondo. In alcune comunità mi è successo spesso di incontrare gruppi di centinaia di persone, magari provenienti da una trentina di nazioni diverse sparse nei cinque continenti.

Si moltiplicano le sortite di gruppi indigeni in aree urbane del Brasile e persino in tournee in Nordamerica, Europa e Asia. Sarebbe senza dubbio interessante incoraggiare e incrementare questi scambi tra mondo indigeno e mondo occidentale e tra culture indigene di diversi continenti.

Ma soprattutto l’uomo bianco, ormai marcio, ha bisogno delle cure di chi ancora mantiene salde radici nella terra e il contatto con il divino nell’infinito.

Il cambiamento di paradigma è già in atto. E non esiste altra possibilità di uscita.

Utopia? Io non credo. Chi credesse che lo fosse si rassegni allora ad avviarsi a capo chino mestamente verso la fase terminale.

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