Il terremoto di magnitudo 3.3 che si è verificato ieri, 11 maggio, verso le 5 di mattina nel comune di Fonte Nuova, a 11 chilometri di distanza dal territorio di Roma, si tratta di un episodio particolare. Nell’area colpita di solito le scosse sono poco frequenti, ma deve essere “comunque monitorata”, ha sottolineato il sismologo Alessandro Amato dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). In passato, infatti, “si sono verificati episodi sismici di magnitudo 5″, lo riporta uno studio condotto proprio dall’Ingv.

“L’area interessata dall’evento non presenta una sismicità significativa negli ultimi anni”, ha detto Amato. L’ultimo terremoto importante, infatti, risale a 119 anni fa, quando il 24 aprile 1901 l’area della Sabina venne colpita da un terremoto di magnitudo stimata 5.3. Considerando i terremoti avvenuti nella Sabina dal 1985 ad oggi, “si può notare che sono presenti pochissimi eventi e di bassa magnitudo – è scritto nello studio dell’Ingv – mentre se ci si sposta a est, verso i comuni di Guidonia e Tivoli, la sismicità è più frequente”.

Anche se si tratta di occasioni sporadiche, storicamente, ma anche recentemente, la città ha avuto a che fare con i terremoti appenninici (tra i più noti e energetici quelli del 1349, 1703, 1915, 2009 e 2016) e quelli avvenuti nei Colli Albani nel 1806, 1899, 1988. In più ogni tanto nella Capitale si avvertono piccoli eventi di origine locale, come ricorda l’Ingv. Nello specifico, “sono due le aree nelle vicinanze di Roma ad avere una sismicità sensibile: la zona appena a sud della capitale, tra la via Pontina e la via Ardeatina, dove sono stati localizzati i terremoti del 1895, 1909 e del 1995 (tutti con magnitudo inferiore a 5), ed una seconda area a nord-est, ai margini della Sabina (il terremoto più forte è stato quello di Palombara Sabina del 24 aprile 1901, di magnitudo intorno a 5)”, è indicato nello studio.

L’area compresa tra la Sabina e il Grande Raccordo Anulare di Roma già in precedenza è stata sede di attività sismica simile all’ultimo terremoto, quello di lunedì: ad esempio nel 1993 e nel 1997. Più lontano, invece, il terremoto del 19 gennaio 1484, che procurò lievi danni in alcune località come Mentana, Monterotondo e Castelnuovo di Porto, lungo la via Salaria.

In totale “si contano poco più di 70 eventi in 35 anni, di magnitudo compresa tra 0.7 e 3.8 – riporta l’Ingv – nell’area contenuta entro il Grande Raccordo Anulare di Roma o nelle immediate vicinanze”. Nessuno di questi ha dato origine a sequenze sismiche o sciami, ma si è trattato quasi sempre di scosse isolate. Il caso dei recenti eventi alla periferia nordest della Capitale farebbe quindi eccezione, avendo avuto due piccole repliche. Bisogna considerare però che la sensibilità della rete sismica è cambiata degli anni ’80 e ’90 ad oggi, quindi qualche eventuale piccola scossa potrebbe non essere stata rilevata.

Il terremoto che ha svegliato Roma all’alba è avvenuto su una faglia secondaria dell’Appennino, quasi perpendicolare rispetto al movimento estensionale tipico della catena montuosa nell’Italia centrale. “Èstato un terremoto di tipo trascorrente, avvenuto su una faglia accessoria nella dinamica dell’Appennino”, ha osservato il presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Carlo Doglioni. Secondo l’esperto, è necessario potenziare ulteriormente il sistema di sorveglianza, ma per questo bisogna fare i conti con una burocrazia che impone tempi molto lunghi.

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