Ma chi è quel capellone che gioca da volante? L’allenatore della Selección argentina non riesce a darsi pace in panchina. Uno sconosciuto sta distruggendo la squadra che a breve dovrà giocare ai Mondiali del ’74. È un’amichevole organizzata a Rosario tra l’Argentina di Vladislao Cap e una selezione di giocatori della città ospitante. Per non rovinare gli equilibri rosarini ne sono stati messi in campo cinque del Newell’s Old Boys e cinque del Central. Sì, ma si gioca in 11. Allora chiamano Tomas Carlovich, il centrocampista del Central Cordoba. Fa il fenomeno in Serie B. Ed è proprio lui che sta nascondendo il pallone ai nazionali argentini.

Cap ha la testa che gli scoppia. “Nel secondo tempo non voglio vederlo in campo. Siamo qui a preparare il Mondiale, non a fare queste figure”, ordina il ct all’allenatore dell’altra squadra. E infatti Carlovich non rientra per il secondo tempo. El Trinche Carlovich, figlio di un emigrato croato, ha 28 anni. Ci ha già provato con le Canaglie del Central, ma finora ha strabiliato soltanto nelle categorie inferiori. Anche dopo la partita del ’74, la sua carriera non prenderà mai il volo. Non riuscirà ad imporsi ai massimi livelli. Però attorno a lui si sono create leggende, sempre a metà tra realtà e fiction, che lo hanno reso mito. Si è sempre raccontato per esempio che al botteghino segnalassero la sua presenza le sere in cui giocava, lo facevano per staccare più biglietti.

Ieri il mito è morto in un ospedale della sua Rosario, Tomas era lì da un paio di giorni dopo che alcuni balordi lo avevano picchiato per rubargli la bicicletta, il suo mezzo di trasporto preferito. Aveva compiuto da poco 74 anni. Cesar Luis Menotti un giorno disse: “Carlovich era destinato ad essere uno dei giocatori più importanti del calcio argentino”. Anche un altro ex selezionatore Pekerman aveva avuto parole al miele: “Un calciatore meraviglioso, nessuno come lui”. Ma la sentenza definitiva era arrivata da Diego Maradona, che alla prima conferenza stampa dopo aver firmato nel 1992 con il Newell’s aveva dichiarato: “Il più grande di tutti a calcare i campi di Rosario è stato un tal Carlovich”. Ieri Diego lo ha ricordato sui social: “Le mie più sentite condoglianze alla tua famiglia, spero che sarà fatta giustizia. Che tu possa riposa in pace, maestro”. È probabile che Maradona non l’abbia mai visto giocare dal vivo, ma come tanti altri ne abbia soltanto sentito parlare. Su Youtube c’è solo un documento video su Carlovich. È tratto dal film “Se acabò el curro” del 1983. Lo spezzone di partita è reale. Il numero 10 in blu è lui, la partita dei primi anni ’80 è della Primera C, la terza divisione. Sono solo pochi secondi.

A portare il suo mito in Europa ci hanno pensato Federico Buffa con il suo programma targato Sky sulla città di Rosario e l’inglese Michael Robinson (scomparso anche lui pochi giorni fa…) con l’altrettanto bella trasmissione spagnola. Ci hanno sicuramente giocato contro Franco Baresi e Gianni Rivera. Il Milan aveva appena vinto lo scudetto della stella, quando a luglio 1979 andò in tournée in Argentina. Carlovich allora giocava con il Deportivo Maipù di Mendoza, ma indossò per l’occasione la maglia dell’Andes Talleres nella sfida contro i rossoneri, che avevano in campo anche Bigon, Albertosi, Novellino e Fabio Capello. El Trinche giocò solo il secondo tempo, facendo un assist squisito grazie al quale gli argentini sconfissero il Milan, allenati per l’occasione proprio da Rivera. Liedholm era assente, ormai promesso alla Roma. Il suo vice Alvaro Gasparini morì d’infarto a Buenos Aires. Rivera alla sua ultima partita da calciatore, si prese la responsabilità di fare anche l’allenatore.

Un libro uscito qualche anno fa in Argentina a firma del giornalista Daniel Console aveva sfatato alcuni luoghi comuni sull’uomo. Andava a pesca invece di allenarsi? Mai tenuto una canna nel suo garage. Si sbronzava la sera prima della partita? Era astemio e in vita ha bevuto solo gazzosa. Vero è che al Trinche non piacesse allontanarsi troppo dal suo quartiere. Non è molto chiaro il motivo per cui da tutti era chiamato el Trinche. Siamo dentro ad una storia tipicamente sudamericana, dove non è importante nemmeno chiedersi se un calciatore così in Italia avesse potuto giocare in A o nei dilettanti. Ad ogni modo un amichetto d’infanzia iniziò a chiamarlo Trinche e tutti lo salutavano ancora così al quartiere Belgrano, ovest della città. Almeno fino all’altro giorno.

Articolo Precedente

9 maggio, l’ultimo lampo di Van Basten con la maglia del Milan: l’illusione del gol all’Ancona e il sogno spezzato tra interventi e depressione

next