Le vendite al dettaglio nel mese di marzo, il primo con il lockdown imposto per contenere il contagio da coronavirus, sono calate del 20,5% in valore e del 21,3% in volume rispetto a febbraio. Un dato, rivelato oggi dall’Istat, che è dovuto in gran parte al crollo delle vendite dei beni non alimentari, che diminuiscono del 36% in valore e del 36,5% in volume, mentre quelle dei beni alimentari sono stazionarie in valore e in lieve diminuzione in volume (-0,4%). “L’impatto del Covid-19 sull’economia italiana è profondo ed esteso“, rileva sempre l’Istat nella sua nota mensile. Dal 4 maggio “i provvedimenti governativi hanno riaperto numerose attività: le imprese appartenenti alle attività sospese d’autorità sono ora circa 800mila (il 19,1% del totale, rispetto a poco meno del 48% precedente), con un peso occupazionale del 15,7% (era circa il 43%) sul complesso dei settori dell’industria e dei servizi di mercato (escluso il settore finanziario)”. Resta quindi ‘bloccata’ un’azienda su cinque.

Crollo delle vendite al dettaglio – L’Istat evidenzia come a marzo siano stati i piccoli negozi a essere più penalizzati dalle misure restrittive, che invece “hanno favorito le vendite nella grande distribuzione“che aumentano per “gli esercizi non specializzati a prevalenza alimentare (+5,2%), soprattutto” per i “supermercati (+14%), mentre per quelli a prevalenza non alimentare si registra un calo eccezionale (-40,5%). Per gli esercizi specializzati le vendite subiscono una diminuzione ancora più forte (-55,7%)”. Nelle imprese operanti su piccole superfici perfino il comparto alimentare è in lieve diminuzione (-1%), mentre per quello non alimentare il calo è del 36,6%. Rispetto a marzo 2019, il valore delle vendite al dettaglio diminuisce del 9,3% per la grande distribuzione e del 28,2% per i piccoli negozi. A marzo “il commercio elettronico continua a essere l’unica forma distributiva in costante crescita (+20,7%)”, evidenzia ancora l’Istituto di statistica.

Nel confronto anno su anno, a marzo, si registra una diminuzione delle vendite del 18,4% in valore e del 19,5% in volume. Anche in questo caso sono le vendite dei beni non alimentari a registrare il calo maggiore (-36% in valore e in volume), mentre risultano in crescita quelle dei beni alimentari (+3,5% in valore e +2,1% in volume). Le diminuzioni maggiori riguardano Abbigliamento e pellicceria (-57,1%), Giochi, giocattoli, sport e campeggio (-54,2%) e Calzature, articoli in cuoio e da viaggio (-54,1%), mentre il calo minore si registra per i prodotti farmaceutici (-6,3%).

L’industria paga il lockdown estero – “L’impatto del lockdown dei Paesi esteri, determinato dalle misure di contenimento della pandemia, si manifesterebbe in una flessione del 3,4% su base annua del valore aggiunto manifatturiero italiano, di cui 0,5 punti percentuali dovuti alla contrazione dell’economia tedesca, un punto alla diminuzione prevista per il resto dell’area euro e 1,9 punti alla flessione della domanda del resto del mondo”. È quanto stima l’Istat nella sua nota mensile. “Il contributo estero alla caduta di valore aggiunto dell’industria italiana appare significativo ed eterogeneo tra i diversi settori del comparto manifatturiero”, spiega l’Istituto.

In particolare, “i settori più colpiti sono quelli più aperti al commercio internazionale e più rilevanti per il modello di specializzazione italiano: tessile-abbigliamento-pelli (-4,1%), apparecchi elettrici (-4,0%), macchinari (-3,8%), autoveicoli (-3,7%)”. Effetti più contenuti per l’Istat si registrerebbero, invece, “per gli alimentari e bevande (-1,9%)”. Nel complesso, si riassume, “questi cinque settori sono quelli maggiormente esposti alla caduta della domanda proveniente dagli altri paesi ed essi da soli contribuirebbero alla perdita totale di valore aggiunto con 1,6 punti percentuali, pari a quasi la metà della caduta dell’intero comparto manifatturiero”.

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