Alcuni sostengono che il campionato di calcio di serie A debba terminare a causa del Covid e propongono la sua sospensione, altri (fra cui diversi club e gli organismi europei) vorrebbero invece terminare, previo avallo delle autorità, le competizioni del calcio professionistico, comprese le coppe europee. Sembra prevalere al momento la seconda ipotesi; per cui a maggio dovrebbero riprendere gli allenamenti e in estate portare a termine le varie competizioni.

Le motivazioni sono simili per entrambe le posizioni e sono di natura prettamente economica: tutelare il sistema-calcio garantendo lo stesso flusso di risorse.

Ritengo che la sospensione del campionato tutelerebbe maggiormente il sistema senza mettere a rischio la ripartenza della stagione 2020-21, cosa che invece potrebbe avvenire col proseguimento del campionato (oltre alla conseguenza che il contagio di un qualsiasi componente di una società bloccherebbe tutto, si pensi anche all’eventualità che gli infortuni dei calciatori aumenterebbe con una preparazione affrettata, con un gran numero di partite da giocare, in poco tempo, con le elevate temperature estive).

La partita vera si gioca sui diritti televisivi, considerando che per i club è la risorsa principale.

La chiusura anticipata del campionato significherebbe, probabilmente, una decurtazione di una quota dei diritti televisivi: un’ipotesi del genere costituisce un danno per il calcio, compensato in parte dalla riduzione dei compensi dei calciatori. Il proseguimento del campionato garantirebbe invece il mantenimento dei ricavi, almeno per questa stagione. Da questo punto di vista, l’ipotesi dei pasdaran “di andare avanti ad ogni costo” appare vincente per il sistema-calcio.

Ma siamo sicuri che il pubblico risponderà come il solito al richiamo delle partite in Tv anche in estate? L’ascolto della televisione è, com’è ovvio, stagionalizzato, in estate la platea televisiva diminuisce di circa un terzo. In piena estate, dopo un lungo lockdown, presumibilmente non saranno molti quelli interessati a seguire sullo schermo (grande o piccolo che sia) le partite. Un eventuale insuccesso degli ascolti porterebbe i network a rimettere in discussione pesantemente l’entità dei diritti. Eventualità che i gestori del calcio non hanno forse valutato con la dovuta attenzione.

Finora il calcio in Tv è in mano alla pay. La televisione free è quasi esclusa la Rai ha i diritti della Nazionale (il campionato europeo slitterà al prossimo anno) e della Coppa Italia, mentre Mediaset trasmette una partita settimanale della Champions. Ormai dovrebbe essere chiaro che la sola pay non può finanziare, com’è accaduto finora, il calcio: affidarsi solo ad essa potrebbe costituire un grande problema per il calcio professionistico. Bisognerebbe pensare a coinvolgere, con modalità tutte da studiare, anche la Tv free; l’errore sarebbe quello di privilegiare le solite dinamiche in un mondo del calcio che non sarà come quello di prima.

Il campionato è finito con il lockdown! L’idea che tutto nell’immediato ritorni come era all’origine è pura illusione, percorrere questa strada porterebbe solo a ulteriori problemi. Si pensi invece a come ristrutturare il sistema, dai compensi per gli atleti (ed agli astronomici emolumenti dei dirigenti delle società e degli organismi di governo del calcio, nazionali e internazionali), agli aspetti tributari, all’uso-abuso delle plusvalenze, ai criteri di ripartizione dei diritti, alla ristrutturazione degli stadi in modo di riavere il pubblico sugli spalti col rispetto del distanziamento (potrebbe essere l’occasione per accelerare la costruzione di nuovi stadi), alla valorizzazione dei vivai e alla limitazione della rosa, alla riduzione del numero delle squadre partecipanti al campionato(?), all’uso-distorto del Var.

La proposta del presidente del Coni di coinvolgere tutte le categorie interessate per progettare fin da ora la nuova stagione 2020-21 ci sembra la soluzione più saggia.

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