“Buongiorno, come sta? E i suoi genitori?”. Riesce ancora a domandarmi come va. Se non la conoscessi bene, dopo anni che ci incontriamo ogni giorno, non mi accorgerei neanche di quel minimo lampo di allarme negli occhi che spuntano sopra la mascherina. Con uno sforzo cerca di trattenerlo, di comportarsi come sempre. Sorride perfino.

Potrei essere proprio io che con un colpo di tosse la contagerò. Eppure rimane lì, continua a fare il suo lavoro: la cassiera.

Non ha il camice bianco, ma una divisa a righe rosse con lo stemma di una grande catena. Non promette cure per salvarci la vita. Ma in questi giorni dove niente più della nostra vita è al suo posto lei resta dietro il bancone.

Sono più di centomila in Italia. Guadagnano milletrecento euro al mese se tutto va bene, perché molti arrivano a malapena a seicento.

Ma nelle città dove mancano i punti cardinali quell’insegna verde lampeggiante è uno dei pochi rifugi. Ci garantisce molto più del cibo. Aiuta a non farci prendere dal panico. Promette che mentre tutto sembra andare in pezzi nel secondo scaffale da sinistra troveremo – proprio come sempre – l’insalata, i pomodori, le pere. E nel frigo qualcuno ha messo per noi il pesce surgelato e addirittura i gelati con quel gusto oggi un po’ stonato che, però, è una promessa d’estate.

Sì, tornerà l’estate. Non andrà tutto bene, non per tutti. Molti non ci saranno più, tanti soffriranno. Ma se ce la faremo, se non ci perderemo, lo dovremo anche ai cassieri dei supermercati. Nessuno li chiama eroi, ma senza di loro di queste strade svuotate non sarebbero più una città.

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