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Coronavirus, il rischio è l’ingordigia: non sacrifichiamo il territorio all’economia

Coronavirus, il rischio è l’ingordigia: non sacrifichiamo il territorio all’economia
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“Secondo le stime più autorevoli all’inizio del Trecento l’Europa contava circa 70 milioni di abitanti, che si ridussero nel giro di cinquant’anni a 50 milioni, crollando a 35 alla metà del Quattrocento: nel corso di poco più di un secolo, la popolazione europea si dimezzò”. Antonio Desideri e Giovanni Codovini in Storia e Storiografia non hanno dubbi: “Questa catastrofe demografica è un aspetto imprescindibile per comprendere la trasformazione dell’Europa alla fine del Medioevo”.

L’Italia passò dai circa 10 milioni di abitanti del 1340 ai 7,5 del 1450. Le cronache del tempo descrivono la peste come un castigo divino. Una autentica pandemia che provenendo da Oriente, sconvolse l’Europa e l’Italia. Cambiandone le storie. Provocando una drammatica crisi economica, ma creando le premesse per una ristrutturazione agraria. Un ripensamento dei territori.

Ai giorni nostri il coronavirus, che sta mietendo vittime anche in Italia, è più che auspicabile non raggiungerà alla fine del suo contagio le cifre della peste medievale. Ad essere differente non è l’aggressività del morbo, probabilmente, ma le controffensive. Per questo ogni confronto potrebbe risultare fondato su presupposti quasi contrapposti.

Ma almeno sulle conseguenze si può tentare di fare qualche considerazione. Perché almeno dal punto di vista economico, anche il coronavirus sta già provocando disastri. E nel futuro prossimo ne promette altri, anche più gravi. Certo l’Europa del ‘300 e del ‘400 non è in nulla paragonabile con quella attuale. Diverse le forze in campo. Diversa soprattutto la necessità di rispettare gli accordi imposti dall’Unione. Insomma è già un problema e lo diverrà ancora di più tra qualche settimana.

Le criticità riverberate in ambito europeo investono e investiranno l’Italia. Richiedendo ulteriori sacrifici. Ma probabilmente costringeranno a ripensare l’agricoltura che è indubbiamente uno dei settori potenzialmente più strategici dell’economia italiana. Esaltando finalmente i prodotti dei territori italiani.

Presumibilmente non suggeriranno un ripensamento delle politiche urbanistiche e ambientali. Anzi è più che probabile che la crisi che ci attende spingerà i “privati” con l’autorizzazione del “pubblico” a proseguire lo scempio delle nostre regioni. Le coste, in particolare quelle più turisticamente attrattive come quelle sarde, saranno ancora più in pericolo. Minacciate da nuovi hotel e villaggi-vacanza che il Piano casa 2020 della Sardegna promette.

Nuove centrali geotermiche, come quella alle porte della Val d’Orcia, incomberanno sulla Toscana, andando a colmare i vuoti ancora esistenti. I pannelli del fotovoltaico ricopriranno l’Etruria e le torri dell’eolico procederanno in Basilicata e Puglia, in Sicilia e in Campania, in Sardegna e in Calabria. I collegamenti sciistici e nuovi impianti a servizio del turismo invernale completeranno la devastazione del Veneto, insieme al proliferare di nuovi impianti del micro-idroelettrico. Si rinsalderà la convinzione che l’economia ha le sue necessità. Alla faccia del Green Deal! Ma anche dei proclami, bipartisan, della politica italiana. Le amministrazioni regionali cercheranno di far cassa, come possono. Tenteranno di rilanciare il sistema produttivo autorizzando l’apertura di nuovi cantieri.

Il pericolo c’è. Il rischio è che, scampate in qualche modo al virus, le Regioni siano investite da una rinnovata ingordigia. Ineluttabile premessa al disastro dei territori. Insomma dopo le nostre vite in gioco ci saranno i territori nei quali abitiamo. Quelli nei quali ci spostiamo. L’affresco di Ambrogio Lorenzetti rappresentante gli Effetti del Buon Governo in campagna sulla parete laterale destra nel Palazzo Pubblico di Siena non dovrebbe lasciare dubbi. Fuori dai centri urbani dovrebbe praticarsi, almeno per quanto possibile, l’agricoltura. Accadrà anche ora, dove possibile?

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