C’è una cosa in questi giorni di epidemia che mi preoccupa un po’. Non è un fatto legato alla salute o all’economia, che restano gli aspetti principali, è un problema di comunicazione. So che quello che sto per dire a molti non piacerà, da altri sarà travisato, qualcuno mi aggredirà, ma io ci provo ugualmente. Quello che mi preoccupa è il modo in cui giornali e tv trattano le numerose e cospicue donazioni che molte aziende e molti cittadini stanno facendo per contribuire ad affrontare l’emergenza ospedaliera.

Sia chiaro. Non ho nulla contro coloro che fanno beneficenza, ci mancherebbe. Apprezzo molto la loro generosità. Non penso mai che ci sia qualcuno che lo fa per esibizionismo, per mettersi in mostra. Non credo neppure all’insinuazione della munificenza come modo per lavarsi la coscienza, per mitigare i propri sensi di colpa.

Non voglio neppure accennare alla polemica che vede in alcuni degli attuali benefattori i responsabili delle mancanze che la beneficenza va a colmare, mancanze prodotte dall’evasione fiscale, dalla corruzione, dallo sperpero di denaro pubblico. Si tratta di un’osservazione più che giusta, ma che non voglio considerare.

Quello che in questi giorni mi preoccupa è il modo compiaciuto, soddisfatto, a volte trionfalistico con cui le notizie delle donazioni vengono proposte. C’è sempre tra le righe, nei toni, nella mimica questa lettura: vedete come siamo buoni noi italiani, come siamo capaci di aiutarci nei momenti difficili, con gente così non possiamo non farcela.

Invece, almeno per me, sono notizie che mettono tristezza, preoccupazione, un senso di desolazione per un paese che, nel 2000, deve ricorrere alla generosità dei ricchi e anche dei meno ricchi per affrontare i problemi, un paese che dovrebbe essere tra i più civili e progrediti del mondo e che invece ricorre a pratiche medievali e se ne rallegra, anzi ci si crogiola. Mi sembra di essere tornato indietro di un secolo, di aver buttato via tutto il Novecento con i suoi sogni e i suoi progetti di progresso, di sicurezza, di welfare.

Non c’è proprio nulla di cui rallegrarsi nel dare queste notizie. Quando le leggo o le sento non posso fare a meno di pensare al grande Bertolt Brecht e al suo “felice quel popolo che non ha bisogno di eroi”. E neppure di benefattori.

Articolo Precedente

Coronavirus, l’esercito delle retrovie merita il massimo degli onori

next
Articolo Successivo

Ilaria Alpi, un monologo la ricorderà presto in teatro. Perché non si vive di sola pandemia

next