Ve lo ricordate Rudi Garcia? Sì, lui, l’ex allenatore della Roma, che nella Capitale qualche anno fa chiamavano “Garcià”, che per un certo momento era diventato quasi un maître à penser nel nostro calcio, e che proprio contro la Juventus aveva vissuto uno dei suoi momenti di massima notorietà, quel violino suonato a Torino contro i torti arbitrali che aveva infiammato mezzo Italia. Il suo piccolo, modesto Lione, probabilmente la squadra sulla carta più scarsa delle 16 arrivate alla fase finale della Champions League, ha fatto passare una serata da incubo alla Juventus che quella coppa vorrebbe vincerla. L’ha battuta 1-0, mettendo a rischio una qualificazione che alla vigilia tutti davano praticamente per scontata. Ma soprattutto l’ha fatta scoprire fragile, nel momento più importante della stagione.

A volte ritornano. Rispetto agli anni in Serie A, la carriera di Garcia è stata piuttosto declinante di recente: dopo l’esonero alla Roma, ha fatto male a Marsiglia, sta facendo maluccio a Lione dove è settimo in classifica e stasera prima del trionfo è stato abbondantemente fischiato dai suoi stessi tifosi. A questo ottavo di finale, conquistato con merito e con un girone non irresistibile, si era presentato con la familiarità dimessa di un vecchio amico a cui ha detto male nella vita. Mai fidarsi delle apparenze: col suo solito look démodé e una squadra sbarazzina ha messo in scacco Maurizio Sarri, che fin qui in Champions non aveva sbagliato nulla.

Per un tempo intero il Lione ha proprio dominato, poi si è limitato a controllare e quando la Juventus si è svegliata era troppo tardi. Ma che qualcosa non andasse lo si doveva capire sin dall’avvio, troppo equilibrato per le attese, in cui padroni di casa colpiscono subito una traversa da calcio d’angolo. Non è un episodio. Con la fantasia del talentino Aouar, il migliore in campo, la fisicità di Dembele davanti ma soprattutto con la manovra avvolgente del 3-5-2 scelto per l’occasione da Garcia, i francesi per 45 minuti mettono alle corde la Juventus. La spallata, cioè il gol del decisivo 1-0, arriva anche grazie alla momentanea superiorità numerica: con De Ligt a bordo campo per una ferita alla testa, il Lione sfonda ancora sull’out, sempre con Aouar, e Tousart da dentro l’area piccola batte Szczesny. L’uomo in meno non è un alibi, il vantaggio non è una coincidenza: anche in 11 contro 11, prima e dopo, è un dominio francese, almeno fino all’intervallo.

Nella ripresa i bianconeri escono meglio dagli spogliatoi, peggio era difficile. Più alti, più aggressivi. Il Lione un po’ si accontenta, un po’ respira dopo il primo tempo di altissimo livello, ripiega. Il piglio diverso non basta, Sarri cambia anche gli uomini: il primo ad uscire è l’ex di turno Pjanic per Ramsey, poi quando la pressione comincia davvero a sentirsi tocca ovviamente a Higuain, al posto di Cuadrado né carne né pesce in un tridente che così concepito proprio non funziona; nell’ultimo quarto pure Bernardeschi per Rabiot. Tutto inutile. Nel secondo tempo a lungo non si vede neanche un tiro in porta: i francesi non ci pensano nemmeno a superare la metà campo, i bianconeri spingono, premono ma creano poco, anzi quasi nulla. Soltanto negli ultimi dieci minuti la Juve gioca davvero da Juve, e infatti il Lione trema ripetutamente. Sarri recrimina per due rigori che in Europa non fischiano quasi mai, Dybala segna pure al 90’ ma in fuorigioco. Finisce 1-0 e la Juventus torna a casa con un risultato pessimo ai fini della qualificazione, se dall’altra parte non ci fosse sempre questo Lione che a Torino può essere tranquillamente ribaltato. Si scopre debole, però, come forse temeva di essere. E domenica, prima del ritorno in Champions, c’è la sfida scudetto con l’Inter.

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