Un docente universitario dopo 39 anni denuncia le violenze sessuali che avrebbe subito in Seminario a Treviso e fa i nomi di due parroci che all’epoca dirigevano il centro vocazionale. Ma 150 sacerdoti della diocesi fanno quadrato attorno ai loro confratelli e li difendono pubblicamente con una raccolta di firme in calce a un documento pubblicato dal settimanale diocesano “La Vita del Popolo”. Non si placa il clamore dopo le rivelazioni del quarantottenne padovano Gianbruno Cecchin, che ha tirato in ballo don Paolo Carnio, attuale guida della parrocchia di San Donà di Piave (Venezia), e don Livio Buso, parroco di San Martino di Lupari (Padova). “Don Paolo e don Livio sono educatori di indiscussa integrità morale ed alto profilo spirituale” così scrivono i centocinquanta ex seminaristi della Diocesi trevigiana, tutti poi diventati sacerdoti. Una difesa senza tentennamenti, a dispetto del dramma umano che che Cecchin dichiara di aver subito, al punto da scrivere anche a Papa Francesco.

“Alcuni di noi hanno vissuto in seminario insieme alla persona che ora, inspiegabilmente, sta lanciando gravi accuse contro don Paolo e don Livio. – è scritto nella lettera pubblicata dal settimanale – L’esperienza formativa che abbiamo vissuto, a stretto contatto con gli educatori di cui si parla, è stata caratterizzata da profondo rispetto e ci sentiamo di testimoniare che esiste un’altra storia: a loro va tutta la nostra stima e fiducia”. La presa di posizione continua: “La vita che abbiamo trascorso in Seminario, in particolare per quanti di noi sono stati nella Comunità Vocazionale, è stata sempre caratterizzata da uno stile molto familiare, sia per i tanti momenti comunitari che per la disposizione degli spazi. Qualunque strana situazione difficilmente sarebbe potuta rimanere nascosta. Abbiamo vissuto in un ambiente sereno dove c’era fiducia tra di noi e verso gli educatori; comprendevamo, anche senza dircelo, quali erano le normali difficoltà che ciascuno stava vivendo nel suo cammino vocazionale”. Fino all’epilogo: “Sentiamo di poter interpretare il pensiero di molti nell’esprimere a don Paolo e a don Livio tutta la nostra stima e fiducia; siamo solidali con il loro dolore e fiduciosi che la limpidezza della loro vita e del loro ministero possa portare a una rapida chiarificazione dei fatti”.

Intanto il professor Cecchin e il suo legale, l’avvocato Laura Bortolamei, hanno depositato in Procura a Padova una denuncia a carico di ignoti, ma soltanto per minacce aggravate. Nessun riferimento agli abusi, denunciati invece con una lettera inviata a metà dicembre al vescovo di Treviso, Michele Tomasi. Perchè è scomparso il capitolo più scabroso, quello delle violenze in Seminario? Perché nel frattempo la Diocesi di Treviso ha avviato un’indagine interna. “Era questa l’intenzione del mio assistito – ha spiegato l’avvocato Bortolamei – fare in modo che venissero effettuati degli accertamenti a livello ecclesiale”. Un passo indietro, visto che uno dei due parroci ha minacciato querele per calunnia e diffamazione contro Cecchin? “Assolutamente no – risponde l’avvocato – ma le violenze sessuali, dopo così tanti anni, sono prescritte. L’obiettivo di Cecchin era un altro: smuovere le acque all’interno del Clero trevigiano. Diverso discorso è per le minacce”.

Ed è a queste che si riferisce la denuncia presentata alla Procura di Padova. Riguardano due missive, che sono state probabilmente scritte con un computer, trovate da Cecchin nella cassetta delle lettere, a Galliera Veneta, dove abita. Intervistato dai giornali locali, l’interessato ha spiegato di avere ricevuto la prima nel 2012, “quando don Livio è giunto a San Martino di Lupari, la seconda l’ho ricevuta a gennaio”. Veniva ammonito di non parlare. In un’occasione sarebbe stato avvicinato per strada da un uomo che lo avrebbe verbalmente minacciato di morte se avesse parlato dei fatti accaduti in Seminario a Treviso.

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