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Dio salvi la Regina. E Zlatan Ibrahimovic

Dio salvi la Regina. E Zlatan Ibrahimovic
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Dio salvi la Regina. E Ibrahimovic.
Magari non segna. Ma insegna.
Magari sbaglia. Ma sbaraglia ancora.
Magari non corre. Ma concorre: alla vittoria del “suo” Milan.

Da quando è ritornato ad indossare la maglia rossonera, il Milan si batte alla pari con chiunque.

E poi, smettiamola di calunniarlo dicendo che corre poco. Contro il Torino eccome se ha corso! Anzi, un ricorso vichiano…

L’ho visto infatti macinare chilometri da un’area all’altra, e mi è sembrato per qualche momento l’implacabile Ibra di dieci anni fa.

Sarà che mi influenza, nel giudicarlo, il centenario di Fellini. Amarcord.

E Prova d’orchestra. Con una sostanziale variante: nel film, il direttore d’orchestra del film strapazza gli orchestrali mediocri e ribelli. In campo, il “maestro” Ibra strapazza i giocatori avversari (e forse anche i compagni per stimolarne l’agonismo e l’orgoglio). L’inesorabile anagrafe lo ha reso più scaltro, persino altruista: distribuisce palloni d’oro, suggerisce azioni imprevedibili a vantaggio di chi gli sta a fianco, teorizza insomma la coralità del gioco. Proprio lui, che ne era l’egoista mattatore.

Si diverte, divertendo, a farci fare qualche passo a ritroso nel passato.

Restituisce il tempo che fu. E noi, tifosi complici e inebriati delle sue invenzioni, lo ammiriamo. Ci diciamo: “E’ ancora lui!”. Che abbia stretto un patto con Mefistofele? Guarda bene il suo look, quel pizzetto nero, lo sguardo spesso beffardo, gli occhi che s’infiammano… suggestioni?

Si deve esser detto: Zlatan, sii fedele a te stesso, al tuo brand, al tuo personaggio, alla tua storia di ragazzo cresciuto nel “lato sbagliato di Malmoe”, il ghetto di Rosengard coi figli degli immigrati, “puoi scappare dal ghetto, ma il ghetto resta sempre dentro di te”. Sii fedele a te stesso diceva Polonio, il ciambellano dell’Amleto, al punto da farsi ammazzare da Amleto…

Ebbene, cosa rimane di questo tribolato Milan-Torino finito col minimo aziendale della vittoria (1 a 0, è la quindicesima volta che succede a San Siro tra le due squadre), in un lunedì uggioso di metà febbraio della stagione di grazia 2019/2020?

Madamina, questo è il catalogo del 17 febbraio 2020: spizzate geniali. Passaggi lesti. E molesti. Movimenti inattesi. Non inattendibili. Sprazzi struggenti e ruggenti di Ibra e del suo calcio essenziale (per necessità), raffinato (per maturità artistica) e quindi bello. Il calcio di frontiera del fuoriclasse che si avvicina al confine della carriera. Un elogio paradossale della lentezza, quella di un lungo e sofferto addio. Noi ne siamo spettatori. Di più: testimoni. C’era un Milan grigio che si dibatteva nella palude della mezza classifica, Ibra l’ha preso per mano, portandolo lungo un cammino virtuoso e non virtuale: indimenticabile viaggio di iniziazione e formazione, a fare i conti con l’anima più profonda e visionaria del calcio, e dei suoi eroi.

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