Un prestigioso (e piuttosto costoso) edificio nel cuore della Capitale liberato con almeno sei mesi di ritardo, dopo un bando sbagliato e due proroghe. Così, il Campidoglio sarà costretto a pagare altri 750mila euro alla Prelios Sgr, una società di gestione immobiliare milanese. Doveva concretizzarsi entro il 7 gennaio 2020 il trasferimento dei gruppi politici dell’Assemblea capitolina dall’edificio di via del Tritone 142, di proprietà della ex Pirelli Re, oggi parte del gruppo Lavaredo Spa, cui il Comune di Roma pagava un affitto annuo di circa 1,5 milioni di euro più Iva. Si tratta, in sintesi, degli uffici dove operano i consiglieri comunali e i loro staff.

La disdetta era stata inviata per tempo, esattamente un anno prima – gennaio 2019 – ma nel corso degli ultimi 12 mesi la macchina burocratica del Consiglio comunale romano non è stata in grado di organizzare il trasloco negli spazi “in house” di via Petroselli e di via della Greca – a poche decine di metri da Palazzo Senatorio. Un “compendio immobiliare” al quale era già stato dato il nome di “Roma in Comune”. Il risultato è che alla prima proroga di tre mesi (fino al 7 marzo) arrivata a gennaio, se ne è aggiunta un’altra che allarga la forbice temporale fino al 7 giugno. In cambio, secondo quanto si legge in una lettera del direttore del dipartimento Patrimonio di Roma Capitale, Valeria Minniti, indirizzata alla sindaca Virginia Raggi, dal bilancio capitolino dovranno essere prelevate somme necessarie al pagamento di due fatture trimestrali pari a 375mila euro ciascuna. Il 26 febbraio, alle ore 15.00, nella sede Prelios di piazza Giovanni da Verrazzano, è fissato un incontro tra la società e i tecnici capitolini per concordare i dettagli definitivi relativi al rilascio dell’immobile.

L’uscita dagli uffici di via del Tritone era un vecchio pallino dell’attuale amministrazione capitolina. Nel 2015, gli allora consiglieri di opposizione M5s contestarono fortemente all’allora sindaco Ignazio Marino la decisione di trasferirvi i gruppi consiliari, nel tentativo di affrancarsi dalla sede storica di via delle Vergini (nei pressi della Fontana di Trevi) che faceva capo a una società del discusso costruttore Sergio Scarpellini, scomparso nel 2018. La scelta dell’allora primo cittadino fu dettata dalla necessità di liberare quell’edificio e un’altra sede più decentrata, a Largo Loria, che insieme pesavano sul bilancio comunale per 13,1 milioni di euro l’anno, contro i 2,2 milioni complessivi dei nuovi uffici (11 milioni risparmiati). La Prelios Sgr, tra l’altro, era la società che in quello stesso anno si era aggiudicata la gestione del patrimonio immobiliare capitolino, sottraendo l’appalto alla Romeo Gestioni spa. Gli attuali 6 mesi di tempo – ormai 4 mesi e mezzo – si rendono necessari al fine di completare il trasloco, il cui bando nel corso del 2019 è andato per le lunghe per alcuni “vizi formali”. “Se si fossero fatte le cose in ordine senza l’ansia da prestazione e l’insana smania di propaganda non si sarebbero sperperati tanti denari – sostiene la consigliera capitolina del Pd, Ilaria Piccolo – La maggioranza, come in altre tante occasioni, predispone atti, li vota, ma poi non riesce a dare seguito agli indirizzi politici”.

Il tema degli spazi istituzionali e delle sedi in affitto passivo, in città, è annoso. Se ne fa cenno anche nell’inchiesta giudiziaria sullo stadio dell’As Roma, con il costruttore Luca Parnasi che, intercettato, chiede notizie sul progetto del “Campidoglio 2” e immagina “di fare la cittadella amministrativa” all’interno della possibile riqualificazione degli spazi dell’ex Fiera di Roma. Dai dati pubblicati sul sito di Roma Capitale, emerge come ogni anno il Comune spenda circa 15 milioni di euro in affitti passivi per le sedi istituzionali, escluse quelle municipali e sociali (centri anziani, campi rom, ecc). Fra queste la Finimvest srl del gruppo Armellini, cui viene pagata una indennità di occupazione di 1 milioni di euro l’anno per gli uffici di via Ostiense 131 (la disdetta risale al 2013); e la DeA Capital srl per i locali di via Capitan Bavastro, anche questi con contratto formalmente concluso nel 2013, cui il Campidoglio paga 2,3 milioni l’anno.

Aggiornato da redazione il 20 febbraio 2020

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