Andando avanti e indietro lungo il ponte sul fiume Foyle, gli smartphone impazziscono. Bip scanditi in serie, altrettanti messaggi attraverso cui le compagnie telefoniche informano la clientela sulle offerte e le modalità di connessione. In un secondo si passa da Strabane, Irlanda del Nord e Regno Unito, a Lifford, Repubblica d’Irlanda. Passaggi ripetuti, e forse non più comuni, nella storica giornata in cui anche questo pezzo di Regno Unito si staccherà dall’Unione Europea, la periferia coloniale. ‘This is Brexit time!’ e dalle 23 di stasera (mezzanotte in Italia) nulla, forse, sarà più come prima. Il corso d’acqua è il confine naturale tra le 28 contee irlandesi e le 6 a nord-est dell’Irlanda del Nord che dal 1921 Londra ha cercato in tutti i modi di ‘educare’, spesso usando la violenza.

Dalla fine degli anni ’60 e per trent’anni in avanti, il transito tra le due Irlande era sottoposto ai rispettivi controlli frontalieri, rafforzati dagli anni ’70 dall’esercito britannico, impegnato a sigillare Strabane, il centro più nazionalista e repubblicano di tutti. Alle estremità del ponte c’erano altrettanti edifici doganali. Uno di questi oggi, sul versante nord-irlandese, è un piccolo supermercato attiguo ad un distributore di carburante che funge anche da cambio valuta: “Spero solo che questo edificio resti un negozio e non torni ad essere una dogana. Ne abbiamo avuto abbastanza.

Gli affari vanno bene, non mi lamento, e spero si possa andare avanti così”. Il Nisa point, l’esercizio di Sacha Nolan, nordirlandese, è l’ultimo per chi da Strabane si dirige verso Lifford. Scesi dalla rampa il primo segno di vita sul versante irlandese è il ristorante McCauley: “La gente si è fermata a mangiare oggi e lo farà anche domani – ci tiene a precisare Keith McCauley, il titolare – Da questa parte d’Irlanda tra una settimana (l’8 febbraio, ndr) si vota per le politiche. Vede, tutti i titoli dei giornali sono orientati sulle elezioni, la Brexit è passata come terza, quarta notizia, suscita meno interesse dello sport. Noi irlandesi non abbiamo detto la nostra ovviamente, ma spero che Boris Johnson sappia ciò che sta facendo, riportare le lancette indietro nel tempo sarebbe pericoloso. Sono nato qui e ricordo i check-points”.

Il distretto di Derry/Londonderry (a seconda la sia veda da nazionalista repubblicano e da unionista britannico) e Strabane è, storicamente, da sempre quello più povero e maltrattato da Londra. Lavoro, servizi sociali, crescita economica, trasporti, sanità, insomma i motori di una società civile. A soffrirne, in maggioranza, la popolazione cattolica filo-irlandese, costretta dal 1921 al 1969 ad una serie di soprusi (emblematico l’esempio dell’ammissione al voto solo per i cattolici proprietari di casa e non gli affittuari, da qui la campagna del ‘One man one vote’). Il coperchio della pentola è scoppiato nell’estate del 1969 appunto e per trent’anni Derry e Strabane sono state teatro di fatti epocali e violenti che hanno delineato i caratteri di una guerra civile vera e propria, combattuta fuori dalle regole. I cosiddetti troubles (guai) hanno ulteriormente allargato la forchetta tra povertà e sviluppo nel distretto più arretrato dell’intero Regno Unito. Dopo il 1998 e gli ‘Accordi di Pasqua’ (Good Friday Agreement), la ripresa economica e sociale è stata lenta, ma costante e nonostante gli odi settari, da queste parti si vive senza dubbio meglio di mezzo secolo fa.

A Strabane, in particolare, la città più ribelle ed anti-Uk del Nord Irlanda, 90% cattolica e, in rapporto agli abitanti, quella più bersagliata dalla violenza. Con la Brexit in vigore da stanotte, lo spettro di un ritorno al passato è sempre concreto, nonostante le rassicurazioni politiche del caso. Sotto il profilo economico e del business c’è chi tiene botta e lo fa in maniera importante: “La nostra azienda, solo a Strabane, tra diretti e indotto dà lavoro a quasi mille persone. La Brexit potrebbe provocare qualche intoppo nel rapporto est-ovest, ossia Nord Irlanda con Regno Unito, ma non in quello nord-sud, Ulster e Repubblica d’Irlanda. La nostra azienda lavora per il 90% con l’Irlanda in ambito europeo ed internazionale e solo in minima parte ci lega alla Gran Bretagna. Siamo tranquilli, non ci saranno problemi”. Kieran Kennedy è a capo dello stabilimento di Strabane della O’Neills Sportsware, un’azienda la cui casa madre è a Dublino e da mezzo secolo produce mute e abbigliamento sportivo per centinaia di squadre sportive, in particolare rugby e hurling (tra gli sport più seguiti in Irlanda, molto vicino all’hockey su erba) e solo in parte calcio: “Abbiamo clienti in Australia, tra cui i due club di rugby più forti, Wolves e St. Helens, e tanti altri in Francia, Nuova Zelanda e così via – aggiunge Kennedy, sulla porta dell’ufficio la foto insieme a Martin McGuinness, uno dei due leader dell’Ira e poi dello Sinn Fein, assieme a Gerry Adams, capaci di trattare con il partito unionista, Dup, del reverendo Ian Paisley, la pace del 1998 – Diciamo che la Brexit non ci ha creato, al momento, problemi tali dal non dormire la notte. Sulla Brexit, personalmente credo sia stata una decisione azzardata, sbagliata e inutile”.

Difficile trovare una voce contraria al senso comune in Irlanda del Nord, specie nella parte nazionalista. In realtà, pur avendo aderito alla posizione dei tories del premier Boris Johnson, il Dup (Democratic unionist party) della prima ministra nordirlandese, Arlene Foster, molti lealisti non sono d’accordo con tale scelta: “La prova più evidente è l’enorme richiesta del doppio passaporto da parte dei protestanti in Irlanda del Nord – spiega Dan Kelly, cancelliere del distretto municipale di Derry and Strabane per lo Sinn Fein – Dalla proclamazione del progetto Brexit, in Nord Irlanda ne sono stati assegnati oltre 96mila. Significa che pure i lealisti preferiscono, o quanto meno hanno i loro vantaggi nel restare in Europa. Deve essere chiaro un concetto: la maggioranza dell’Ulster ha dichiarato, in modo netto, il suo ‘No’ all’uscita dall’Unione Europea. La Brexit ha portato e porterà rabbia, tristezza e frustrazione. In linea teorica l’accordo sulla Hard Brexit è stato annunciato, ma di fatto non c’è nulla di concreto e, dunque, in caso di mancato accordo in tal senso le conseguenze potrebbero essere catastrofiche”. Kelly entra nello specifico sotto il profilo commerciale ed economico: “Penso ai tanti piccoli produttori di latte del nostro distretto, tanto per fare un esempio – aggiunge il consigliere, monaco per dodici anni, cinque dei quali trascorsi a Roma, prima di lasciare l’abito religioso per fare politica attiva – L’unico, grande centro di distribuzione di latte, ossia dove tutti i piccoli farmers portano il latte, si trova nella vicina contea di Monaghan. Molti dei nostri produttori, nel tempo, hanno fatto parecchi investimenti e il regime di Brexit teoricamente potrebbe comportare danni irreparabili per loro. Ecco, l’incertezza, al momento, è il nostro primo nemico. Boris Johnson è sicuro di risolvere gli accordi interni e con l’Ue entro il 2020 e presentarsi al 31 dicembre di quest’anno con in mano la ricetta migliore. Buon per lui, io non la vedo così, anzi temo che un accordo vero e proprio non si troverà mai. Tories, Dup e pro-Brexit si pentiranno di questa scelta”.

In tema di aziende, nessuno conosce meglio quelle del distretto più occidentale del Regno Unito più di Redmond McFadden, presidente della locale Camera di Commercio: “La nostra sede rappresenta circa 400 aziende. Il sistema economico è basato su piccole e medie imprese che rischiano di subire pesanti ripercussioni. Il governo di Londra specifichi subito cosa intende fare sulla questione delle tariffe, su dazi e tassazione, sul rapporto di cambio tra le due monete alla luce di Brexit. Quali ricadute ci saranno su lavoro e sociale? Ad oggi non esiste una legislazione in materia. Noi qui siamo sempre stati ai margini del Regno Unito e ne abbiamo abbastanza. Ritorno alle violenze settarie? Potrebbe succedere, anche se la gente di questa contea non vuole tonare a quel passato doloroso”.

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Brexit, Johnson: “È l’inizio di una nuova era. La strada dell’Europa non era più la nostra”

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