“Il più grande errore fatto dagli Unionisti nell’ultimo mezzo secolo è aderire al piano di Boris Johnson sulla Brexit. Se ne renderanno conto già da sabato prossimo. Questo passo porterà a due conseguenze: l’impoverimento dell’Irlanda del Nord e una corsa più frenetica al referendum per l’annessione alla Repubblica d’Irlanda”. Non ha dubbi James McVeigh, 55 anni, un terzo dei quali passati tra le fila dell’Ira, l’esercito repubblicano, il gruppo paramilitare nazionalista attivo durante i cosiddetti Troubles tra il 1968 e il 1998.

A suo carico due arresti e un totale di diciassette anni di carcere, in larga parte trascorsi nel blocco H della prigione di Long Kesh (Maze), divenuta tristemente famosa per la Blanket protest con a capo Bobby Sands, morto nel 1981 dopo oltre due mesi di sciopero della fame: “Mi sono unito alla lotta armata a 17 anni proprio sull’onda emotiva di quella protesta epocale – precisa McVeigh a ilfattoquotidiano.it -. Una sera di dicembre del 1983 sono stato arrestato assieme ad altri due mentre stavamo trasportando una bomba in auto per un attacco contro le forze di sicurezza. Dopo sette anni sono uscito e un mese dopo, sempre a dicembre, c’è stato l’attentato e sono di nuovo finito a Long Kesh per altri dieci anni. Entrare nella lotta armata era normale a quel tempo, tutti i giovani lo facevano. Io e i miei fratelli, Pat e Paul, abbiamo tutti combattuto e siamo finiti al fresco. Ne è valsa la pena? Credo di sì, bisognava esserci a quel tempo. Adesso però i miei figli possono dire di non aver conosciuto la violenza settaria e non si sono mai sentiti cittadini di serie B come i miei genitori”.

Nel 2000 McVeigh è stato liberato definitivamente grazie al percorso legato al Good Friday Agreement, la Pasqua del 1998 che ha posto fine al trentennio di morte e terrore nelle sei contee nordirlandesi sotto il controllo britannico. Da lì la sua vita è cambiata, prima è arrivata la politica, poi, due anni fa, il sindacato: “Nel gennaio di due anni fa, dopo aver rappresentato lo Sinn Féin al Comune di Belfast, ho deciso di fare un passo indietro – confida McVeigh, arrivato all’incontro in t-shirt nonostante i 3 gradi esterni – e di entrare nel Sitpu, il sindacato che rappresenta i settori industriale, professionale e tecnico, pur restando sempre nell’orbita del partito. Neppure il tempo di ambientarmi e adesso il nostro Paese dovrà affrontare il nodo della Brexit. Soltanto la sua minaccia, senza ancora avere un’idea chiara di cosa comporterà nei vari livelli produttivi e sociali, ha già provocato una prima emorragia di posti di lavoro. Grandi compagnie, aziende di rilievo, soprattutto nell’industria pesante e nell’agroalimentare. Non passa giorno senza che si inneschi una crisi occupazionale, 40 posti persi da una parte, 70 dall’altra. A rimetterci per primi sono i lavoratori stranieri, la manodopera a basso costo, polacchi, lituani, slovacchi e così via, tutti assunti attraverso contratti-capestro. Da un giorno all’altro la direzione comunica loro ‘Non abbiamo più bisogno di te, ci dispiace’. In una nota fabbrica di pollame con 1.300 dipendenti, i licenziamenti sono iniziati. Stessa cosa in una ditta che si occupa di funghi nella contea di Monaghan, al confine tra le due Irlande. La domanda è crollata all’improvviso e a rimetterci sono i più deboli”.

Alla radice di questo calo occupazionale, sostiene McVeich, il timore per i futuri dazi commerciali. E tra i responsabili di questa situazione, l’ex Ira individua il partito Unionista del Dup: “Tutto ciò è legato al flusso di denaro, alle previsioni di dazi tra il Regno Unito e l’Europa che verranno fissati a partire dalla prossima settimana. Il Primo Ministro Johnson ha deciso di abbandonare l’Irlanda del Nord, con la complicità degli Unionisti, soprattutto quelli del Dup, il partito della leader dell’Ulster, Arlene Foster. Loro stessi non sono convinti della bontà della scelta, spalleggiare i Tories e subirne le conseguenze, visto che la Brexit colpirà soprattutto i potenti industriali, i ricchi proprietari terrieri e, a cascata, la forza lavoro. Questa gente con la Ue aveva dei benefici, ora non so come si metteranno le cose. Abbiamo faticato tanto per dimenticare il passato e rimettere in carreggiata la nostra terra, adesso rischiamo di tornare indietro, sperando in un accordo positivo sul backstop e sul confine con l’Irlanda, la frontiera europea. Si sono tutti inginocchiati al grido ‘let’s make Britain great again’ (rifacciamo grande il Regno Unito, ndr). Il referendum? Si farà molto prima di quanto possa immaginare, entro 5-6 anni, e sarà la tomba dei lealisti”.

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