di Monica Di Sisto*

Un accordo commerciale con Donald Trump da concludere “entro poche settimane” per allontanare lo spettro di nuovi dazi. Che rimetterebbe, però, in discussione le regole Ue su agricoltura e sicurezza alimentare sulle quali il Parlamento Europeo, un anno fa, ha negato il mandato negoziale alla Commissione europea.

Una notizia che anima il retropalco del Forum economico mondiale, ma mette a soqquadro Bruxelles perché, stando alle agenzie della capitale dell’Unione, nessuno in Parlamento né nel Consiglio, quindi tra i Governi membri dell’Unione, sembra saperne nulla.

Nel frattempo si prepara l’arrivo in Italia del segretario per l’Agricoltura statunitense Sonny Perdue che, stando allo scarno programma disponibile, il 29 gennaio sarà alla Fao, il 30 incontrerà la ministra italiana Teresa Bellanova e successivamente parteciperà, forse anche per convincere la riottosa opinione pubblica italiana della bontà del negoziato, a uno show con cottura di pasta e presentazione di prodotti Italian style rigorosamente a stelle e strisce. Ma procediamo con ordine.

Cominciamo dal ministro del Tesoro statunitense Steven Mnuchin che a Davos, aggiornando la platea sui recenti nuovi accordi stretti con la Cina e con Canada e Messico, ha ammesso candidamente che “senza dubbio” aver imposto, ma anche minacciato, dazi è stato un “grande incentivo” per stringere nuovi accordi commerciali.

Pensiamo che il solo settore agroalimentare italiano, per le ritorsioni introdotte da Trump dopo la sentenza sul caso Boeing-Airbus, ha perso mezzo miliardo di euro, mentre una nuova black list ventilata dall’amministrazione Trump, stando alle analisi Coldiretti, potrebbe colpire i due terzi del valore dell’export del Made in Italy. A sorpresa, però, sarebbe proprio l’agroalimentare europeo a dover fare le maggiori concessioni nel nuovo tavolo Ue-Usa, e proprio rispetto a quelle regole di qualità che lo distinguono dalla produzione globale.

“Stiamo cercando di studiare i modi in cui, attraverso la cooperazione normativa, potremmo riuscire, con l’esame delle barriere non tariffarie, a riportare sul tavolo negoziale per mettere in discussione le questioni agricole”, ha spiegato Phil Hogan, ex commissario per l’agricoltura, oggi ministro europeo al Commercio, in un evento organizzato da BusinessEurope a Bruxelles.

Il negoziato Ttip tra Usa e Ue, lungi dall’essere stato accantonato, dopo l’opposizione scatenatasi in tutta Europa e negli Usa proprio per le implicazioni normative e democratiche denunciate da sindacati, associazioni, consumatori e cittadini non ha più la forma di un negoziato unico, ma si svolge su due tavoli discreti di diplomatici e tecnici, che lavorano l’uno su come aumentare gli scambi tra le due sponde dell’Atlantico, l’altro su come avvicinare le rispettive normative. “Abbiamo una lunga lista da entrambe le parti” di barriere normative in agricoltura, ha sostenuto Hogan, che potrebbero essere “risolte” come parte di un accordo commerciale.

E qui entra in scena la presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, che ha annunciato a Davos, dopo aver incontrato Trump: “Vogliamo chiudere un accordo tra qualche settimana per mettere fine ai problemi commerciali”. Notizia confermata dalla Casa Bianca che, in una nota, dice che “si aspettano progressi tangibili verso un accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione europea nel prossimo futuro”, e dallo stesso Trump che ha raccontato alla Cnbc di aver minacciato la Von der Leyen di imporre nuovi dazi sulle auto europee.

A Bruxelles, però, del contenuto dell’offerta che l’Europa sarebbe pronta a fare a Trump nessuno sembra sapere nulla. Anche chi, in teoria, dovrebbe deciderlo e approvarlo. Alla stampa sguinzagliata tra Parlamento e Consiglio tutti dicono di essere colti di sorpresa dall’annuncio. Alti diplomatici, coperti dall’anonimato, azzardano che Von der Leyen “parla a titolo personale”. Ci sarebbe, tuttavia, un pacchetto di misure che la Commissaria sarebbe pronta a presentare a Trump, ma nessuno sa quando e che cosa contenga.

È tutto da capire come questo obiettivo possa essere coerente con l’altra affermazione della Capo-Commissione a Davos, secondo cui “non ha senso ridurre le emissioni solo in casa, se aumentiamo le importazioni di CO2 dall’estero. Non è solo una questione climatica; è anche una questione di equità”, visto che le produzioni statunitensi sono tra le principali responsabili delle emissioni globali.

Se la Germania sembra confermarsi il ghostwriter di questa iniziativa, come del Ttip e delle riedizioni precedenti, il premier francese Emmanuel Macron si è più volte detto contrario a sottoscrivere accordi commerciali con Paesi che non appoggiano l’accordo di Parigi per il clima. Chissà come prenderà questa nuova accelerazione senza preavviso. O come reagiranno le istituzioni italiane, al momento non pervenute.

*Portavoce della Campagna Stop TTIP/CETA

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